Alcuni giorni fa il premio Nobel per la pace e giornalista russo Dmitrij Muratov ha incontrato l’ex presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov. Quest’ultimo ha avuto un ruolo nella fondazione del giornale diretto da Muratov, Novaja Gazeta. Il rapporto, quindi, è di lungo tempo.

Muratov ha riportato le preoccupazioni di Gorbaciov, che avrebbe chiesto di fare il possibile per impedire una escalation nucleare. È stata questa una inquietudine costante nella vita di Gorbaciov. Dal 1985, quando venne eletto segretario del Pcus, prima bloccò in modo unilaterale i test balistici sovietici e poi inaugurò una politica del disarmo concordata con gli Stati Uniti. Disarmo, quello sovietico, reso necessario dalla crisi economia profonda del paese. Il successo della perestrojka, infatti, era legato alla riallocazione delle immense risorse che Mosca utilizzava per il comparto militare.

La scelta del disarmo non fu solo una questione contingente. Gorbaciov era sensibile alle istanze pacifiste e aveva un certo modo di interpretare i problemi sovietici. A suo dire le interconnessioni globali rendevano impossibile la risoluzione di qualsiasi problema pensando semplicemente all’interesse nazionale. A motivazioni di ordine pratico si unirono, dunque, quelle di carattere etico ed una sensibilità culturale verso i problemi della pace.

Gorbaciov trovò poi una sponda a Washington nel presidente Donald Reagan. Inizialmente i due ebbero qualche attrito, ma con il passare dei mesi Reagan (che nel 1983 aveva definito l’Urss l’Impero del male) sposò il progetto di Gorbaciov condividendo le sue preoccupazioni: una guerra nucleare doveva essere evitata ad ogni costo.

Gorbaciov intraprese anche una seria discussione in merito alle armi convenzionali e al ruolo militare sovietico in Europa. Cosa più importante, almeno per i popoli dell’Est europeo, nel 1989-90 egli proclamò e applicò il principio della non-interferenza: lo strumento militare non era più valido per determinare il corso degli eventi nella sfera di influenza sovietica.

La fine pacifica dell’Impero sovietico fu un avvenimento non scontato. La crisi e il crollo di un impero sono spesso foriere di conflitti, vendette, pulizie etniche ecc. Gorbaciov ha il merito storico di aver permesso il ritiro pacifico del decadente gigante russo/sovietico dall’Europa. A parte una più stretta collaborazione con la Germania riunificata, che ha caratterizzato i rapporti russo-tedesci pure successivamente, il leader sovietico non ottenne null’altro da un Occidente inebriato per la vittoria contro il nemico storico comunista e per la «fine della Storia».

Nella Russia post-comunista l’eredità di Gorbaciov è andata gradualmente dissolvendosi. Questo è avvenuto in primo luogo per le contraddizioni e il fallimento della perestrojka, che hanno lasciato una diffusa e generale insoddisfazione. Il resto l’ha fatto la tremenda crisi vissuta dal paese negli anni Novanta, che ha portato al rafforzamento del potere presidenziale e alla repressione delle istanze democratiche e pacifiste presenti nella società russa.

Infine, Putin negli ultimi vent’anni ha elaborato una nuova politica di potenza: la sicurezza della Russia può essere garantita solo dalla difesa, anche unilaterale, degli interessi russi. Mosca ritiene di avere il diritto/dovere di intervenire in quella che reputa “l’area della civiltà russa”, di cui l’Ucraina farebbe parte.

Qualche giorno fa il ministro degli esteri russo ha richiamato il pericolo di una possibile guerra atomica, poco prima il presidente aveva messo in allerta il sistema di difesa del paese. Nel frattempo, in Ucraina si susseguono gli scontri armati nei pressi delle centrali nucleari, punti strategici che i russi provano a conquistare. Insomma, l’opzione atomica e il rischio di un olocausto nucleare rappresentano nuovamente una spada di Damocle sull’Europa.

Non è un caso se un preoccupato Muratov sia andato a trovare proprio Gorbaciov. Grazie a lui c’è già stata una Russia capace di intendere il proprio posto in Europa in una relazione di interdipendenza pacifica con i suoi vicini. È accaduto e quindi può riaccadere.

E l’Europa? Può raccogliere le preoccupazioni di Gorbaciov? Ursula Von der Leyen ha perorato l’ingresso dell’Ucraina nella Ue e, allo stesso tempo, il presidente Zelens’kyj ha ricordato a tutti che gli ucraini sono europei. E i Russi? Che cosa sono i russi? Gorbaciov diceva che la Russia era Europa e che con la sua arte, letteratura ecc. faceva parte della civiltà europea. Parlava di Casa comune europea da costruire insieme, Est ed Ovest; un’idea tanto affascinante quanto vaga.

Se anche i russi sono europei, se anche la Russia è Europa perché Mosca è rimasta fuori dai processi di integrazione europea negli ultimi trent’anni? Questo ha favorito o no il regime di Putin? Proporre al popolo russo una reale opzione europeista non sarebbe forse un modo per metterlo in difficoltà? Sono questioni storiche complesse su cui interrogarsi e strategie politiche difficili da immaginare, riflettere su questi temi è però indispensabile per salvare oggi il nostro continente.