Un nome ricorre, protagonista indiscusso, nel libro di Enrico Camanni Verso un nuovo mattino La montagna e il tramonto dell’utopia (Laterza «i Robinson/Letture», pp. 256, euro 18,00), ed è quello di Gian Piero Motti.

Tutti gli altri – e sono numerosi gli attori che popolano i «nuovi mattini» di Camanni – sono autorevoli comparse: a parte Reinhold Messner, noto al grande pubblico, le altre sono figure che raccontano epoche intere agli addetti ai lavori – da Casarotto a Comino, da Manolo a Grassi, da Profit a Gogna – ma che poco dicono a lettori meno navigati. P

erché allora dedicare un libro intero a una lunga storia, a una parabola fatta di luoghi, nomi, pareti, oggetti, avventure e tragedie che tanti ricordi ed emozioni risvegliano in alcuni, ma che nulla significano per altri?

Questa è la scommessa dell’autore: voler raccontare un’epoca, che va dagli inizi degli anni Settanta fino all’altro ieri, attraverso la lente di un alpinista-giornalista torinese, incrociando questo lasso di tempo che corre da un’alba a un tramonto con alcuni momenti chiave della nostra storia recente: dall’assassinio di Guido Rossa al rogo del cinema Statuto, all’assassinio di Moro, John Lennon, fino ad arrivare a Berlusconi e al Nobel di Kosterlitz.

Ma chi era Gian Piero Motti? Forse un «fallito», come lui stesso aveva scritto coniando nel titolo di un suo articolo questa controversa definizione per la categoria di alpinisti cui apparteneva. Fallito al punto da decidere di togliersi la vita, lasciando un enorme vuoto, un tale silenzio dietro di sé che ancora oggi Camanni sente il bisogno – e non è la prima volta – di riprenderne le fila.

libro camanni nuovo mattino

Ma sicuramente Motti era anche l’ispiratore e l’interprete di un nuovo modo di andare in montagna, o forse sarebbe meglio dire di andare in verticale, in parete, verso avventure senza conquiste né vette, di quel movimento insomma che venne poi riassunto col termine di «nuovo mattino» e cambiò per sempre il volto dell’alpinismo.

L’infinita passione per la montagna lo aveva portato – forse con sulle spalle il peso di un Sessantotto non vissuto appieno nelle strade e nelle lotte sociali – a considerare l’alpinismo come una forma di alienazione dalla realtà, una fuga dalla società, un’attività per «falliti» appunto. E per questo aveva cercato di spogliarla da qualsiasi enfasi eroica per ricercarne un volto umano, leggero, scanzonato. In una parola libero.

«Vorrei che su queste pareti potesse evolversi quella nuova dimensione dell’alpinismo spogliata di eroismo, impostato invece su una serena accettazione dei propri limiti, in un’atmosfera gioiosa, con l’intento di trarre come in un gioco il massimo piacere possibile da un’attività che finora pareva essere caratterizzata dalla sofferenza». Sono le sue parole. È una svolta.

E così, verso la fine degli anni Settanta, in Italia, l’alpinismo si scioglie, si libera, trasgredisce e vola con incredibili exploit verso l’alto, verso orizzonti e risultati inimmaginabili fino a pochi giorni prima.

Ma allo stesso tempo, quella che era un’arte per pochi eletti, si trasforma, si massifica e diventa sport. Una trasformazione che coglie quasi di sorpresa i protagonisti del Nuovo mattino, che partorisce un figlio, l’arrampicata sportiva, che loro non riescono a riconoscere.

«Il tempo della ribellione – scrive Camanni – è stato fulmineamente superato da quello dello sport, anche se uno sembra figlio dell’altro e osservando i due fenomeni li diresti della stessa famiglia. Non è cosi. I giovani hanno già altri modelli, altri riferimenti. E a tagliare definitivamente il cordone ombelicale con l’alpinismo arriva un oggetto concreto, lo spit, il chiodo a espansione».

«Se per l’alpinismo eroico il fine era la vetta e il Nuovo mattino inseguiva la via-vita in parete, ora gli atleti puntano alla difficoltà, la loro cima è il grado massimo».

In sintesi, scrive ancora Camanni, «l’avventura è per pochi, lo sport è per tutti».

Il Nuovo mattino combatteva l’eroismo della vetta con un romanticismo ribelle, mantenendo un legame con la storia che l’aveva preceduto; invece «tra arrampicata sportiva e alpinismo tradizionale non c’è alcun dialogo. Solo muri».

Motti denunciò la morte del Nuovo mattino spiegando come lo spit rappresentasse il trucco, il colpo basso con cui si concretizzava la vittoria del muscolo sulla fantasia. Un tradimento. E ciò che lo addolorava ancora di più era che i vecchi segnali di guerra, «le braghe di tela e le fasce nei capelli», sorridano al mercato dello sport, che ricambia il sorriso e fagocita immediatamente i giovani consumatori.

L’anticonformismo diventa omologazione e così si chiude il cerchio: dall’alpinismo eroico, alla trasgressione, allo sport. Con nuove regole. Altro non è che un gioco per tutti, con regole democratiche.

E adesso? Adesso si è aperta l’epoca degli «scalatori del pomeriggio», secondo la riuscita definizione di una sua interprete, Eva Grisoni, nata nel ’77: «Potendo fare di tutto, decidiamo soprattutto di fare quello che ci piace, che ci diverte».