La solitudine, in tutte le sue articolazioni, è un tema letterario ricorrente, soprattutto nella narrativa giapponese contemporanea, che ci ha reso familiari personaggi emarginati e alienati, incapaci di decifrare quella rete di relazioni, simboli, riti e comportamenti che chiamiamo società, dove il sentire si risolve spesso in dissentire, a meno che la minaccia di restare soli al mondo non induca a ratificare l’esistente. È quanto succede ai protagonisti di Tokyo Soundtrack, di Furukawa Hideo, pubblicato in Giappone nel 2003 e appena tradotto da Gianluca Coci (Sellerio, pp. 759, € 18,00).

Hitsujiko e Touta sono due bambini portati alla deriva dal destino, che li ha voluti salvi, insieme; ma sono connotati dalla solitudine anche i tanti altri personaggi che partecipano alla storia, tutti perfettamente delineati a dispetto talvolta di una presenza sulla scena fugace, com’è quella della madre depressa e obesa di Hitsujiko, o dell’esaltato padre di Touta; c’è poi il cinefilo Inuki, la liceale «combattente» Babylonia, il maestro elementare Shun’ichi, e Kuroy, il corvo beccogrosso che finalmente può vivere a Tokyo perché lì l’inverno «è scomparso». Tutti sono intrappolati nelle maglie di un tessuto urbano ostile e di una società gretta e xenofoba.

Nell’isola cui approdano scampando l’uno a un naufragio, l’altra al tentativo della madre di trascinarla con sé nel suicidio, Hitsujiko e Touta sperimentano prima lo smarrimento, quindi l’incanto della natura, e dopo ancora lo spaesamento del ritorno in società. Sin dall’inizio, alla solitudine si affianca l’altro tema principale del romanzo: come sopravvivere. Sull’isola disabitata i due bambini, privi di cibo e di acqua, non possono contare su nessuno. Ma Hitsujiko sa come farcela perché ha sperimentato «il buio dell’animo umano» nella madre, mentre Touta padroneggia le tecniche di sopravvivenza grazie a quella «dottrina pedagogica estremista» impartitagli dal padre. Anche quando, una volta cresciuti, prenderanno strade diverse, Hitsujiko asseconderà le emozioni, mentre Touta si indirizzerà verso un apprendistato solitario il cui scopo è imparare come stare al mondo. L’una è resa sola dalla propria natura ribelle, l’altro dalla sua introversione: per entrambi, comunque, sentire è dissentire.

La maestria di Furukawa nell’allestire un impianto narrativo capace di trasmettere il senso costante della precarietà e una logica fortemente paradossale si manifesta soprattutto nella costruzione dei personaggi e dello spazio. I bambini sono incapaci di comprendere i propri nomi: Touta non sa leggerne i caratteri, dunque non è in grado di conoscerne il significato; Hitsujiko lo legge nel modo sbagliato (il carattere di «hitsuji», pecora, si legge anche «yo», e Yoko è il suo vero nome) perché sua madre associava il suo pianto al belato delle pecore. Nel primo caso, il valore fonetico ha più peso di quello semantico, nel secondo è il sema a prevalere sul phoné.

Non a caso, Touta è in grado di captare la gioia di Hitsujiko guardando l’ombra della sua danza, il riflesso dei suoi movimenti: «In un luogo dove Hitsujiko non c’era, esistevano le sue vive emozioni. Di rimbalzo, per riflesso». Per Touta, Hitsujiko è allegoria, rappresentazione. L’enfasi posta da Furukawa sulla compenetrazione di realtà e rappresentazione è uno degli aspetti più apprezzabili del romanzo e tradisce la sua familiarità con le arti performative. È dotato di una scrittura intensamente drammatica, che fa un uso sapiente di focalizzazioni multiple e rapidi cambi di ritmo.

Tokyo, spazio del romanzo, è restituita in una topografia precisa, al tempo stesso reale e immaginaria: approdo di migrazioni che ne complicano all’inverosimile il tessuto sociale, è una città dai confini porosi, dove agisce un coro di voci disarmoniche come i suoni del mondo raccolti nelle 573 cassette di Shun’ichi, e sistematicamente conferma e scardina tutti i cliché che la riguardano.
Se da un lato Furukawa non nasconde il desiderio di omaggiare Murakami introducendo elementi comuni anche ai mondi rappresentati in Nel segno della pecora o in Kafka sulla spiaggia, dall’altro costruisce un edificio letterario in perfetta sintonia con i suoi precedenti lavori: dopo Belka – del 2013 – Tokyo Soundtrack è una ulteriore conferma della sua potente immaginazione e della capacità di manipolare gli elementi del reale per inventare mondi perturbanti e storie dotate di un ampissimo respiro.