Il manifesto con cui Fabrizio Barca propone un «Pd nuovo»? «Un contributo alla discussione che partirà al congresso. Propone un partito radicato nel territorio: con umiltà ricordo sono cose che io faccio da quando faccio politica. Fa piacere che stia a cuore a una persona che stimo». Se Barca non si candida a segretario Pd, Gianni Pittella (europarlamentare di lungo corso, 55 anni, vicepresidente del parlamento europeo) negli scorsi giorni ha invece annunciato che ci sarà. Una scelta fatta «senza chiedere permesso a nessuno» e «per lanciare spunti di dibattito sull’Europa e sulla forma partito. Ma ne parleremo al momento opportuno. Ora ci sono le emergenze del paese».

Al governo nazionale lei sostiene la proposta Bersani.

Un governo di cambiamento con tre obiettivi: dare risposte alla crisi, cambiare la legge elettorale, ridurre i costi della politica. Su questa base si può fare un governo, soprattutto dopo aver eletto un capo dello Stato garante di tutto il paese. Una personalità del livello di Napolitano, che ha saputo rappresentare le anime del paese con la saggezza.

Torniamo a Bersani. Per Bindi rischia di dare le chiavi del governo a Berlusconi.

Ma perché? Escludendo il governissimo, e non volendo tornare al voto, o si fa il governo di cambiamento o un governo istituzionale. La prima ipotesi è incomparabilmente preferibile.

Lei crede alla possibilità di scissione del Pd?

La paura di una scomposizione in due schegge – una che va a fare la sinistra-sinistra con Sel e una che insegue gli orfani di Berlusconi – va evitata a qualsiasi costo. Il Pd è nato riconoscendo in sé varie culture, quella laica a quella socialista, quella ambientalista, quella più di sinistra. Siamo un partito di 8 milioni di voti e di 600mila iscritti. Fracassare è abdicare al nostro dovere.

I dissensi al tentativo Bersani ormai sono molti.

Non dobbiamo scandalizzarci delle espressioni forti. Le scissioni si fanno se si sostiene che il Pd non è adeguato alle sfide di oggi. Ma il Pd è adeguato. Certo, va rinnovato non solo nell’anagrafe, nel rapporto con i cittadini, nella capacità di essere una comunità di destino anziché un condominio. Un dato preoccupante del voto, sono i giovani che scelgono Grillo: dobbiamo essere il partito degli Erasmus.

Avete un problema di collocazione politica. In Europa sedete con i socialisti e democratici, ma il Pd non è nel Pse.

Questa discussione va chiusa definitivamente. Con il Pse dobbiamo fare come nel parlamento europeo: un’alleanza fra Pd e socialisti, aderendo al Pse e trasformandolo nel partito dei socialisti e dei democratici. Nei vertici del Pse c’è apertura e interesse a un’alleanza con noi.

Non è un sacrificio eccessivo per gli ex popolari del Pd?

Non ci sono altre famiglie di riferimento, ormai se ne sono convinti anche gli amici cattolici. Fra un anno si voterà per l’Europa. Dobbiamo europeizzare il nostro dibattito, decidere il nostro candidato alla presidenza della commissione. E io penso che il migliore sia Martin Shulz, presidente del parlamento, il più autorevole e anche amico del Pd. Dobbiamo batterci per avere italiani nei vertici del parlamento. È in Europa che si decidono le sorti di tutti. E quest’Europa così com’è non ci sta bene.

Cos’è il Pd del dopo Bersani?

Un congresso con molte candidature. La geografia politica a cui siamo abituati è superata. Chi ha idee e esperienza ha l’obbligo di rimettersi in gioco, su proposte di rinnovamento.

E ci sarà Renzi. Che si ispira a Blair. Che non è nel Pse.

Renzi non si è mai candidato alla segreteria del Pd. Mi pare che voglia fare il premier. Ed ha le carte in regola per essere uno dei candidati, a patto che non faccia un’operazione di melassa fra centro, destra, sinistra. Se poi dovesse invece candidarsi alla guida del Pd, sarebbe un arricchimento per tutti.