Che bell’occhio che tieni in fronte / lassa turnà e surdate da u fronte. Danno del tu alla Vergine di Mecogliano i pellegrini che salgono in cima al santuario
ad omaggiarla, la “mamma schiavona”.

Se nel nord padano e industriale le grandi organizzazioni laiche e proletarie hanno avuto la forza di introdurre una propria liturgia, al Sud la povera gente, per esprimere in pubblico le proprie rivendicazioni, si è aggrappata alla forza della tradizione.

Così poco distante da qui, a Montemerano, è attraverso i canti di Carnevale che i contadini hanno raccontato l’epopea dell’occupazione delle terre. Proprio come hanno affidato all’ode alla Madonna nera il disgusto e l’angoscia per la guerra.

La liturgia di Mecogliano sfugge alle maglie della Chiesa e diventa di popolo, al punto che Aurelio Fierro ne ha fatte una versione pop, e James Senese l’ha incorporata nella migliore tradizione Jazz di casa nostra.

Anche la liturgia della tappa, che parte da Praia dove ieri si è arrivati e si conclude in vetta al santuario, rispetta la tradizione di tappe come quella d’oggi, che non fanno danni tra i grandi capi ma tagliano fuori i velocisti. Attraverso il parco del Cilento si avvantaggiano quindi gli eroi picareschi della fuga di giornata: Montaguti e Villella per
l’Italia, gli sloveni Polanc e Mohoric, il colombiano Torres Agudelo, l’olandese Bouwman e Van der Sande per il Belgio.

Fa loro la guardia, volteggiando, l’aquila reale, qui siamo a casa sua.

Pare dunque già segnata l’inerzia della tappa, con i nostri a sei minuti dal gruppo, quando a rovesciarla arriva l’acquazzone che alle pendici del monte impantana i fuggitivi e dà la sveglia alle squadre dei migliori, proiettate a gran velocità verso l’arrivo più per tenere a riparo i big che per apparecchiare loro la vittoria. Chi a riparo proprio non ci si sa mettere, in questa corsa forsennata, è Froome, che a metà ascesa cade aggredendo una curva senza grazia e sbatacchia il fianco già ferito in Israele. Rientrato in gruppo, quasi a vendicarsi dell’ostilità che il Giro gli dimostra, mette i suoi a tirare il collo al gruppo.

Piove a catinelle sulla corsa, e sulla corsa piove da El Carmelo, una chiesetta coloniale gialla e rossa sospesa nel cielo dell’equatore che sembra non avere fine, la faccia antica da indio di Richard Antonio Carapaz.

L’equadoreño salta Bouwman, l’ultimo arreso della fuga, vince e quasi non ci crede. Ha la maglia bianca del migliore tra i giovani, e di lui lassù in montagna sentiremo riparlare.