«Ci sono voluti tutti questi anni perché Aretha Franklin arrivasse sullo schermo e appare in un numero solo! Scritturarla è stata la scelta più intelligente di John Landis. Usarla così poco quella più sciocca. La sua apparizione, quando canta Think, con addosso la divisa da cameriera del ristorante soul- food di cui è proprietaria, ha un effetto esplosivo sul film. La sua presenza è così forte che sembra stia guardandoci mentre noi stiamo guardando lei. È così vivida, e divertente, mentre ammonisce con il dito il suo cuoco, e amante (Matt «Guitar» Murphy), che sta valutando se tornate o meno con la vecchia band, i Blues Brothers, che nulla di quanto segue raggiunge l’altezza di quel momento».

Pauline Kael, citata qui sopra, salvò praticamente solo Aretha Franklin nella sua recensione di The Blues Brothers, apparsa sul settimanale New Yorker. Girato, e uscito, più o meno in contemporanea con I Cancelli del cielo e Apocalypse Now, il grandissimo koloss-music-al di Landis venne trattato dalla critica come un ennesimo sintomo dell’eccessivo potere che i registi della nuova Hollywood avevano accumulato nei confronti del sistema industriale – una licenza artistica e finanziaria pericolosa, assolutamente da ridimensionare. Da parte sua, la Universal, che aveva prodotto il film (dopo aver beneficiato dello straordinario successo di Animal House), ci mise del suo per limitarne l’appeal. «Lo definirono un black movie, un prodotto per il mercato afroamericano», mi raccontò Landis.

E, di conseguenza, lo distribuirono come tale, essenzialmente nelle sale delle inner cities. Tutt’oggi, la reputazione di questo film amatissimo in Europa, a casa è inferiore rispetto a quella di altri classici landisiani. Nato dall’amore di Danny Aykroyd e John Belushi per il rhythm ‘n blues che diede vita ai primi sketch dei fratelli Blues per «Saturday Night Live», il film di Landis atterrò come un oggetto alieno negli Usa della disco music. «Erano gli anni degli Abba e dei Bee Gees. Tutti mi chiedono come ho fatto a raccogliere insieme tanti artisti di quel talento: erano disoccupati! Mi è bastato chiamarli… Aretha era felice della scrittura. Così James Brown. L’unico che stava lavorando in quel periodo era Ray Charles – e si era dato al country», mi disse ancora Landis. «Infatti, la missione per conto di Dio era il mio modo di prendere in giro Danny, che aveva intrapreso il progetto con la determinazione evangelica di ’rilanciare questi grandi artisti’. Il rhythm ‘n blues era considerato finito, roba da vecchi. Tanto per darti un’idea, la casa discografica della Universal, la Mca Records, non volle distribuire la colonna sonora del film. Ironicamente, il successo principale di The Blues Brothers rimane oggi proprio il modo in cui John e Danny usarono la loro fama per riportare in auge quei magnifici musicisti».

Come Pauline Kael, sono in molti a pensare che la performance di Franklin (che inizialmente sollevò dei dubbi sull’allure del costume da cameriera con pantofole, che venne ridisegnato per meglio evidenziare le sue curve) è una di quelle che bucano il film. E grazie al quel magnifico restaging di Think (una canzone che lei aveva inciso in un suo famoso lp del 1968), che Clive Davis le offrì un contratto con la Arista Records, da cui nacque il suo disco successivo.

Ci vollero circa vent’anni per mandare in porto la reunion cinematografica dei Blues Brothers, Blues Brothers 2000, un film ancora più incompreso che da Chicago, finisce nel profondo Sud, e in cui vennero inclusi una nuova generazione di artisti, come Erykah Badu. Ma a Mrs. Murphy venne dedicato un numero miliare del film, sulle note di un altro classico di Franklin, Respect. Lontana l’America impoverita su cui si stava per affacciare la presidenza Reagan. E anche per la carriera di Franklin, erano tempi diversi: invece del grembiule da cameriera rosa slavato, l’abito elegantissimo, arancione forte, di una business woman di successo.