Con il primo gennaio in Giappone si è entrati nel trentesimo anno dell’era Heisei, il periodo che è iniziato nel 1989 con la morte dell’imperatore Hirohito e l’ascesa al trono del figlio Akihito, imperatore che, caso unico nella storia dell’arcipelago, abdicherà il prossimo 30 aprile per anzianità, ponendo così fine all’attuale era. Benché simbolica, la figura dell’imperatore rimane ancora oggi centrale quando si parla di Giappone, spesso in negativo, come quando vari gruppi della destra più o meno estrema invocano il ritorno dell’imperatore come guida politica della nazione, ed anche quando riaffiorano nel discorso contemporaneo le responsabilità di Hirohito nel massacro della Guerra del Pacifico.

La rappresentazione e percezione della figura imperiale è cambiata drasticamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale: il primo gennaio del 1946 infatti, con la controversa «Dichiarazione d’umanita» spinta dagli alleati e da MacArthur, Hirohito rinuncia allo status di divinità ed al legame con la dea del sole Amaterasu.
La rappresentazione della figura dell’imperatore nell’immaginario visivo, specialmente quello cinematografico, è stata il fulcro attorno al quale lo scorso dicembre gli studenti del Nihon University College of Art di Tokyo hanno organizzato un piccolo ma interessante festival.

Parte del corso di laurea, gli studenti devono ogni anno pensare ed organizzare un piccolo evento festivaliero da tenere in una delle sale della capitale. Quest’anno il tema scelto è stato «L’imperatore e il cinema» e nel corso di una settimana sono state presentate al pubblico 14 pellicole, da documentari a fiction, quasi tutti film di provenienza giapponese, fatta eccezione per Il sole di Alexandr Sokurov. La rappresentazione dell’imperatore in film e in fotografie prima del 1945 era quasi impossibile e doveva seguire certi criteri molto severi. Uno dei film che mette abilmente su pellicola il passaggio epocale da figura semidivina a quella umana di Hirohito è A Japanese Tragedy di Fumio Kamei del 1946, documentario che usando immagini d’archivio mostra il processo di fascistizzazione dell’arcipelago e l’espansione giapponese nel resto dell’Asia.

Il film rimane ancora oggi famoso per una scena dall’alto valore simbolico dove si vede la figura di Hirohito in abiti militari ed in una posa risoluta e decisa sfumare in un’immagine dove l’imperatore è vestito in abiti civili, con postura ed atteggiamento quasi dimessi. Il film uscì dopo «La Dichiarazione d’umanità» e quindi durante il periodo di occupazione americana, ma ciononostante q la forza di queste immagini fece gridare allo scandalo e causò delle proteste che volevano far ritirare il documentario dalle sale, in quanto veniva per la prima volta mostrata in immagini la normalità e l’«umanità» di Hiroito.

La figura dell’imperatore mantenne quindi la sua forza e la sua aura anche dopo la sconfitta del Giappone. La situazione andò cambiando solo nei decenni successivi quando fu possibile rappresentare la figura imperiale anche in opere di fiction come ad esempio Japan’s Longest Day di Kihachi Okamoto del 1967 o, in questo millennio, il già citato Il sole di Sokurov, film che sollevò non poche polemiche.
Il passaggio epocale che si verificherà nell’aprile del prossimo anno stimolerà quasi certamente altre riflessioni relative alla rappresentazione di una figura tanto rispettata al giorno d’oggi quanto controversa nel corso del secolo scorso e che continua a portare alla luce problematiche politiche ed identitarie che attraversano l’arcipelago nipponico.

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