Enrico Letta stende un velo pietoso sulla vicenda e si limita a dire: «Non ne so assolutamente nulla». Notizie di stampa riferiscono di un veto del governo giallobruno alla sua candidatura, avanzata da Germania e Francia, alla presidenza del consiglio europeo, una carica eletta dai capi di Stato e di governo dell’Unione e scelta fra gli ex premier di un paese. L’Italia potrebbe ambire alla nomina, ma i papabili sono tutti indigesti alla maggioranza: Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Niente candidati, niente presidenza. Con il rischio concreto, per il nostro paese, di passare dalle attuali tre posizioni «apicali» (Mario Draghi alla presidenza della Bce, Antonio Tajani a quella dell’europarlamento e Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli affari esteri) a zero. Immagine plastica dell’isolamento del governo in Europa. Lunedì il premier Conte riceverà a Palazzo Chigi il candidato popolare alla guida della Commissione Manfred Weber e proverà a rompere il cerchio di solitudine in cui il paese si è cacciato.

Nel pomeriggio fonti di Bruxelles smentiscono l’ipotesi Letta. Ma a bocciarla apertamente, con toni sprezzanti, è il vicepremier Luigi Di Maio. La ragione politica si capisce. Meno la verve ironica: quella dei giornali sarebbe «una curiosa e bizzarra fantasia», scrive su facebook. «Tutta la mia solidarietà all’ex presidente del Consiglio Enrico Letta (e sapete a cosa mi riferisco…)», scrive alludendo alla defenestrazione da Palazzo Chigi per mano del Pd renziano nel febbraio del 2014, «ma nel ruolo di commissario Ue per l’Italia no, grazie». Poi carica: «Se dobbiamo mandare qualcuno a rappresentare il nostro Paese, ci mandiamo una persona che l’Italia l’ha sempre difesa, che abbia a cuore le nostre imprese, i diritti dei lavoratori, la sanità e gli investimenti. I vari Letta, Renzi, Monti e Gentiloni possono dormire sonni tranquilli. Nessuno li pensa, nemmeno gli italiani».
Peccato che , nella foga battutara, prende una toppa: scambia la carica di presidente del consiglio europeo per quella di commissario. Che è una riprova, ove mai servisse, che non ha chiaro quello di cui sta parlando. E quindi ancor meno a cosa il paese sta rinunciando grazie al suo governo.

Letta, che è già stato in corsa per quella presidenza nell’era Renzi (che ugualmente lo stoppò) e ha un curriculum di tutto rispetto per quella responsabilità, ben oltre l’indispensabile prerequisito, nega di saperne alcunché e si chiude nel silenzio. Stamattina partirà per Montreal, in Canada, per un progetto sulla diplomazia economica di Sciences Po, l’Istituto di studi politici di Parigi di cui dirige la Scuola di affari internazionali dal settembre 2015, quando si è dimesso dal parlamento.