Cosa significa essere madri nel medioevo? E la dimensione della maternità, essenziale nella rappresentazione della donna, e non soltanto in quei secoli, ne esaurisce la funzione? Prova a rispondere a queste difficili domande Maria Giuseppina Muzzarelli nel suo nuovo libro Madri, madri mancate, quasi madri. Sei storie medievali (Laterza, pp. 174, euro 18).
Autrice nota per i suoi studi sul mondo femminile medievale, sulla moda, sui costumi materiali e morali, Muzzarelli prende qui in considerazione sei personaggi, sei donne molto differenti fra loro per epoca (il cosiddetto medioevo copre un periodo di dieci secoli, dunque al suo interno conosce enormi cambiamenti), condizione sociale, scelte ed esperienze di vita.

Si parte con Dhuoda, aristocratica del IX secolo, autrice di un trattato di educazione rivolto al figlio Guglielmo, ma anche coinvolta nella vita politica e militare dell’età carolingia; poi c’è Matilde di Canossa, potente signora delle terre centroitaliche che ebbe un ruolo di spicco nel conflitto che contrappose il papa Gregorio VII, del quale era partigiana, all’imperatore Enrico IV nella seconda metà dell’XI secolo; ancora, Caterina da Siena, terziaria domenicana, mistica, teologa vissuta nel Trecento; con Margherita Bandini si entra in un milieu assai differente, quello dell’alta borghesia mercantile della Toscana: era infatti la moglie del mercante pratese Francesco di Marco Datini, e di loro si conosce un celebre epistolario.

Sono coevi di Christine de Pizan, pure vissuta a cavallo fra Trecento e Quattrocento, prima intellettuale di professione della storia femminile; e infine Alessadra Macinghi Strozzi, di nobile famiglia ma esule in pieno Quattrocento.

TRE FRA QUESTE FIGURE, ossia Dhuoda, Christine e Alessandra, furono madri di più figli; non così le altre, per circostanze ovviamente molto diverse. Muzzarelli è in grado con rapidi tocchi di fornire un contesto a ciascuna fra queste storie, chiedendosi sempre in che modo gli stereotipi legati al genere hanno indotto la visione che ne hanno dato non soltanto i contemporanei, ma anche la storiografia.

Come nel caso di Matilde di Canossa, della quale si è riconosciuta l’importanza nella politica, ma a scapito del suo essere donna, quasi un sesso a parte, o una donna oltre e al di fuori del suo genere: la rilettura che ne viene offerta mostra come le cose non stessero proprio così. In un certo senso tutte queste figure femminili si spingono ben oltre le convenzioni del loro genere, magari perché costrette a far da madre e da padre ai loro figli.

ANCHE NEL CASO di Caterina da Siena, che per condizione non assoceremmo a un discorso sulla maternità, leggiamo come venisse appellata madre dalla sua comunità, e come ponesse la questione della cura dei figli al centro del suo pensiero. Contraddizioni? Forse, o magari solo apparenti, nel senso che tutte queste donne, pur nelle loro vicende sempre singolari e individuali, sono costrette ad aggirare i limiti che la società impone al loro genere attraverso un discorso costante di diminutio, pretendendo e dichiarando di esser meno di ciò che in realtà erano, per potersi guadagnare spazi di movimento inediti. Si vede bene come il discorso, incentrato sui secoli medievali, sarebbe facilmente ricollocabile ben oltre, fino ai nostri giorni.

Ci si può infatti chiedere con l’autrice se questi discorsi intorno all’esser donne e all’esser madri «sono davvero così inediti? Madri surrogate, famiglie allargate e madri alle prese con i sensi di colpa quando non intendono rinunciare alla carriera: sono questioni solo dell’oggi?».

La risposta è, come si può capire, ovviamente negativa; per quanto concerne il presente è una risposta che possiamo fornire soltanto noi, oggi, ma la lettura di Madri, madri mancate, quasi madri ci dice che in ogni società le donne hanno dovuto sviluppare le loro strategie e trovare i loro aggiustamenti, spesso di straordinaria intelligenza, in un mondo che tende a relegarle in ruoli predefiniti.