L’uscita sabato di Fire and Fury, il bestseller di Michael Wolff con le presunte nuove rivelazioni sul Russiagate era stato accolta nei corridoio del Cremlino con delle alzate di spalle. “Una resa dei conti tra cowboys” ,si era ironizzato. La linea ufficiale di Putin era rimasta inalterata: “Si tratta di faccende politiche interne agli Stati Uniti” aveva ripetuto l’inquilino del Cremlino durante le ultime conferenze stampa.

E quando ieri era circolata la dichiarazione di Herbert McMaster consigliere personale di Donald Trump in cui si sosteneva che la Russia stesse attivamente operando per influenzare la campagna elettorale del Messico sviluppando “uno sforzo sofisticato per polarizzare le società democratiche e favorire la contrapposizione delle comunità sociali all’interno di molti paesi” era stata accolta persino con “vivido stupore”, l’intervista di domenica alla CBS di Mike Pompeo, direttore della Cia, ha provocato una forte irritazione a Mosca.

Pompeo nella popolare trasmissione ha sostenuto che la Russia cerca di interferire nelle elezioni americane “non da oggi ma da decenni”. Putin impegnato a sbrigare questioni burocratiche di campagna elettorale (la raccolta di 300.000 firme per presentare la sua candidatura) ha affidato a uno dei suoi bracci destri la replica.

La portavoce ufficiale del ministero degli Esteri russo Marya Zacharova in un comunicato pubblicato sulla sua pagina di Facebook ha dichiarato: “Scopriamo oggi che la Russia “per decenni” avrebbe interferito nelle elezioni negli Stati Uniti! Quanti decenni fa, mi chiedo, la Russia avrebbe “avviato” questo sporco affare?”.

Già perché Pompeo non si è certo sprecato in dettagli: l’opera di inquinamento sarebbe iniziata con Putin, con Eltsin o in periodo sovietico? Domande che rischiano di restare senza risposta.

“La migliore prova che questa è pura menzogna è che tutti questi “decenni” di agenzie e funzionari dell’intelligence americana non hanno mai dichiarato nulla di simile e non hanno mai sollevato tali questioni prima”, ha chiosato la diplomatica moscovita. A Mosca credono che neppure le elezioni a metà mandato muteranno la situazione e la Russia si deve preparare a una guerra mediatica di lungo periodo.

Putin ha smesso di sperare da tempo che Trump mantenesse la promossa di aprire un “dialogo franco la Russia” come aveva chiesto a più riprese, ma ora il fuoco di fila a cui è sottoposto il Cremlino, ha fatto perdere le staffe alla Zacharova: “Niente trame, film, discorsi, fino a quando il sistema elettorale statunitense non aveva tirato fuori dal cilindro il presidente Trump. Da allora tutto ha preso corpo: accuse infondate, ricerca di un nemico esterno, le chiacchiere sulla “mano del Cremlino” – in una parola, “la canzone dei prigionieri cumani” un dotto riferimento all’opera russa Il principe Igor di Alexander Borodin, che rimanda al lamento noioso e ripetitivo di un establishment Usa che inizia ad annoiare anche gli spettatori dalla bocca più buona.