Una volta decideva tutto lui. Fino al 2000 anno della sua morte il deus ex machina del sistema bancario e finanziario italiano era Enrico Cuccia, banchiere dei banchieri, capo indiscusso di Mediobanca, regista acclarato e acclamato del capitalismo italiano.

Cuccia, ovvero il dominus dei progetti industriali del dopoguerra e autore dei più costosi salvataggi industriali del secolo scorso. Non c’era nomina bancaria o imprenditoriale che non passasse sulla sua scrivania, nessun collocamento in borsa poteva evitare la sua supervisione.

Neppure la politica osava violare l’istituto di via Filodrammatici, poi divenuta piazzetta Cuccia. Qualche tentativo ci fu ma andò incontro a un clamoroso fallimento.

MEDIOBANCA, che pure era controllata dalle tre Bin, banche di interesse nazionale, (Banca di Roma, Credito Italiano e Comit) era la vera padrona dei tre istituti bancari, attraverso un complicato sistema di accordi poteva gestire i capitali che le tre banche raccoglievano presso il pubblico e destinarli alla «cura» dei gruppi industriali italiani.

Era il centro di gravità permanente del pianeta finanza dalla fine della seconda guerra mondiale e il mondo intero guardava al caso Mediobanca come un caso atipico nel panorama mondiale. Tutto ciò è finito da tempo. Il dominio di Mediobanca si è via via disgregato e secondo alcuni si è semplicemente globalizzato.

Oggi Mediobanca è una delle tante banche d’affari. Nulla di più.

Ne parliamo con un ex banchiere che preferisce l’anonimato. Un uomo che in Italia è stato per anni ai vertici di uno dei più importanti gruppi bancari e da quella postazione ha gestito le più importanti operazioni industriali pubbliche e private.

L‘epoca del dominio di Mediobanca è davvero finito?

«Direi proprio di sì. Il potere economico è strettamente legato alle risorse finanziarie che rendono possibili le cose e alla capacità di esercitarlo. Con la morte di Enrico Cuccia è caduto uno dei due presupposti. L’uomo era in grado di gestire al meglio e in modo esclusivo le risorse che venivano dalle banche di interesse nazionale e nessun altro è riuscito a prendere il suo posto. Ma direi che non c’era soltanto questo aspetto. Il patron di Mediobanca, da grande tessitore era riuscito a costruire un network di rapporti con i grandi gruppi industriali, Fiat, Pirelli, Italcementi, ecc. il cosiddetto capitalismo familiare che in Italia era concentrato in poche mani. Una vera e propria cupola. Le assicuro che era un potere stringente e molto forte. Ricordo bene quegli anni: o si passava da Mediobanca o nulla. Alternative non ce n’erano».

COSA È CAMBIATO oltre al fatto determinante che è morto Enrico Cuccia?

«È finita un’epoca e sono accadute alcune cose importanti. Decisivo è stato l’affrancamento delle tre banche d’interesse nazionale da Mediobanca. È venuto meno uno dei presupposti del potere: la gestione delle risorse finanziarie. Così il mercato si è aperto. Quando dominava Mediobanca era quasi impossibile per le banche straniere entrare nel nostro mercato. Dopo il Duemila i gruppi bancari stranieri hanno cominciato a mettere piede in Italia in modo significativo e le cose sono cambiate. Il mercato si è liberalizzato. Inoltre tenga presente che vi è stato un forte mutamento nel capitalismo italiano, il potere industriale è cambiato, le grandi famiglie si sono spente e il paese è cresciuto anche perché non era più nelle mani di pochi protagonisti».

[do action=”citazione”]Renzi esercita il potere quando fa le nomine come nel caso dell’Eni, ma sul sistema bancario ha poche leve. A parte Mps, sono convinto che la politica ha le armi spuntate[/do]

Direi che è significativo da questo punto di vista quello che è successo al Corriere della Sera: dopo più di trent’anni il gotha del capitalismo italiano, (Fiat e Mediobanca), ha mollato le redini del comando a Urbano Cairo che non si può certo definire un membro del salotto buono.

«Certo, ma il fatto più significativo, strutturale direi, è che si sono moltiplicati i protagonisti. Non voglio sostenere che le banche non hanno più potere. Oggi una parte delle risorse sono concentrate in Unicredit e Banca Intesa ma una una gran parte di risorse le ritroviamo nei fondi d’investimento, nelle compagnie di assicurazione, nelle banche d’affari e nei fondi di private equity.

NON DIMENTICHIAMO poi che molti protagonisti dell’economia italiana ormai sono stranieri: per molti gruppi importanti è mutata la proprietà. E dulcis in fundo le decisioni più importanti non vengono prese in Italia ma a Bruxelles o a Francoforte. E’ lì che si decide la politica economica. Con la nascita della Bce tutto è cambiato».

E LA POLITICA da che parte sta? La commistione banche politica, tanto coltivata da Banca di Roma e poi Capitalia negli anni ‘80 e ‘90 che fine ha fatto? Come lei saprà in questi mesi c’è un grosso scontro tra governo e opposizione sul caso Etruria e sulla commistione tra politica e banche. Lei cosa ne pensa?

«SE DEVO essere sincero non credo che questo, al di là della polemica strumentale sul caso Etruria, sia un grande problema. Renzi potrà esercitare il suo potere quando fa nomine pubbliche come nel caso Eni ma sul sistema bancario ha poche leve per esercitare influenza politica. Certo, la politica locale ha fatto più di una stranezza, le Fondazioni forse possono condizionare la politica locale e territoriale ma i governi hanno le armi spuntate. L’ultimo esempio clamoroso di commistione tra politica e banche è il Monte dei Paschi di Siena ma per il resto io sono convinto che la politica non sia in grado di influenzare le scelte dei grandi gruppi bancari».