Se vince il Sì vince uno solo, ma se vince il No vincono in tanti e ovviamente il discorso non cambia se si guarda a chi perde. E’ inevitabile che all’interno dell’orda coesistano progetti strategici e ambizioni in competizione tra loro, destinati a emergere presto, qualunque sia il responso delle urne. Silvio Berlusconi ha giocato una partita magistrale, smentendo per l’ennesima volta quelli che da quasi 25 anni se lo immaginano come un minorato politico, penalizzato ultimamente anche dall’età. Si è tenuto lontano dal campo sino al rush finale, dando così modo all’altra metà del suo mondo, quella aziendale, di raggiungere un accordo col nemico politico che darà presto i suoi frutti: quando si tratterà di rivedere la revisione della torta pubblicitaria a vantaggio di Arcore e a svantaggio di viale Mazzini.

La lunga sosta in panchina è stata fondamentale anche per decidere, sondaggi alla mano, se limitare la partecipazione al minimo indispensabile e dovuto, un paio di trasmissioni e via con la scusa della salute malferma, oppure se cercare di mettere il suo cappello sul No. Il responso di Alessandra Ghisleri deve essere stato confortante se l’ex Cavaliere ha deciso di rimontare in sella con il piglio dei vecchi tempi, sino a centrare l’obiettivo. In due settimane da comprimario si è imposto come protagonista della sfida referendaria e ha colto l’occasione per una prova generale del suo nuovo abito politico. L’antico «cavaliere nero» mira a trasformarsi nel Nonno Libero della politica italiana: saggio, moderato e misurato, il leader meno «divisivo» che ci sia in campo. L’opposto del ruggente Salvini, troppo descamisado per proporsi come leader.

Quasi alla chetichella, tra una comparsata televisiva e l’altra, Berlusconi ha già squadernato il suo progetto, sino a promettere una lista di ministri addirittura già pronta da presentare prima delle elezioni politiche: «Tre ministri di Fi, tre della Lega e tre di Fdi. Per il resto tutti esponenti della società, del mondo produttivo». Non ha glissato neppure sul nome del possibile leader: nonostante l’opposizione dei figli e in nome del pubblico interesse, lui potrebbe sacrificarsi per l’ennesima volta e assumere l’onerosa incombenza…

I lepenisti di casa nostra, Salvini e Meloni, sono certamente di tutt’altro parere, ma se a vincere sarà il No a destra non saranno loro a dare le carte. Bisognerà riscrivere la legge elettorale sulla scorta di un referendum che, implicitamente, è anche un voto sull’Italicum, e Berlusconi è già pronto a fare sponda con chiunque sia disponibile per strappare il ritorno al proporzionale o per chiudere comunque con un premio di coalizione.

Ma se le profezie dei sondaggi si rivelassero sbagliate, la sconfitta di Berlusconi sarebbe molto più pesante di quella dei truci nemici/amici. Lo scontro, di qui alle elezioni politiche, sarebbe acerrimo, in un clima da faida all’ultimo sangue che taglierebbe fuori Berlusconi e lascerebbe praticamente tutto il campo ai discepoli di Trump e Marine Le Pen.

Il leader della forza politica principale del No, Beppe Grillo, ha scelto la via opposta a quella di Renzi: tanto il ragazzo di Rignano si è buttato allo sbaraglio quanto il genovese è stato prudente. L’M5S si è speso in campagna elettorale molto più di quanto non profetizzavano i molti che lo sospettavano segretamente favorevole alla riforma, ma non ha mai cercato di rendere la battaglia referendaria una guerra soprattutto a 5 Stelle, e se a prevalere fossero i Sì ne uscirebbe di conseguenza meno penalizzato degli altri sostenitori del No.

Quando sottolinea che comunque il Paese è spaccato a metà, Grillo non si limita a enunciare un dato di fatto: ricorda che comunque vada a finire oggi la partita è aperta sino alle elezioni politiche. Ma se a prevalere sarà il No bisognerà riscrivere la legge elettorale, e i pentastellati si troveranno di fronte all’eterno bivio: partecipare e contaminarsi o chiamarsi fuori da una partita il cui esito stavolta li riguarderà da vicino? In prima battuta è certo che M5S reclamerà elezioni immediate, probabilmente col segreto plauso di Matteo Renzi. Poi però dovrà decidere ed è probabile che stavolta sulla legge elettorale la sua parte finirà per farla.