«Se davvero i tre candidati condividono la proposta Calenda, se per i candidati il rilancio della sinistra sta nel fronte comune antisovranista con i popolari di Tajani ed i liberali dell’Alde il congresso credo possa finire qui». È Antonello Giacomelli, renziano tendenza Martina, a dire una semplice verità nel coro di ipocrisie dem sull’affaire Calenda. Ieri a nome di tutto il Pd, e con l’ok dei tre candidati, il presidente Orfini ha firmato il manifesto «Siamo Europei». L’ex ministro ha esultato e subito cominciato a dare indicazioni: nel listone dovranno esserci solo «candidature di qualità». Avanti di questo passo, per compiacere Calenda (a ogni obiezione ricevuta minaccia di ritirarsi), l’ex ministro si guadagnerà la delega alle liste europee. Il problema riguarda il prossimo segretario, con ogni probabilità Nicola Zingaretti. Concedere tutto questo spazio a Calenda è «un modo per sminarlo», c’è chi spiega. Ma è argomento che varrà anche dopo il congresso, anzi tanto più.

ZINGARETTI RICEVERÀ l’investitura popolare che gli darà la forza di imprimere il suo passo al suo Pd? Ieri ha ricevuto l’endorsement di Enrico Letta, con l’augurio di un bagno di popolo ai gazebo.  Le previsioni dell’affluenza non sono esaltanti. L’asticella ad ora sarebbe sotto il milione.

INTANTO IL PRESIDENTE del Lazio subisce gli attacchi di Giachetti e Martina per la sua proposta di (nuovo) centrosinistra. Giachetti è contrario a qualsiasi persino dialogo con «quelli che se ne sono andati martellando il Pd» leggasi Leu. Ieri Zingaretti era a Firenze proprio con Enrico Rossi, di Leu (ma anche con il sindaco Nardella). Martina declina le alleanze con i civici come le Madamine Sì Tav o le ’sore’ No Raggi.

ZINGARETTI VA AVANTI. In questi giorni sparge timidi segnali di apertura provando a non provocare l’ira dei suoi sfidanti. Fatica improba e forse inutile. Le primarie, ha detto ieri, sono «non solo del Pd ma dell’Italia». L’area di Martina fa fuoco preventivo sull’eventuale ingresso ai gazebo di Laura Boldrini, «lasci il gruppo di Leu e entri nel Pd» spiegano, statuto alla mano.

MA DAL LATO SINISTRO di Piazza Grande arrivano scricchiolii. La polemica fra Zingaretti e il suo braccio destro Smeriglio ormai ogni giorno fa capolino nelle cronache delle primarie. Il coordinatore dell’ala izquierda ha avuto la colpa di dire cose moderatamente di sinistra sul rapporto con i 5 stelle (ha parlato di «disgelo del dialogo») e su Calenda («uno dei protagonisti della battaglia europea», nel senso non l’unico). Lunedì Zingaretti ha sottolineato freddamente che «Smeriglio parla a titolo personale». Ieri il Foglio riferiva dell’intenzione del presidente di «rompere il sodalizio» dopo le primarie, «archiviare il capitolo Smeriglio». Da Zingaretti nessuna smentita. Da Smeriglio una secchiata d’acqua. O quasi: «Ha ragione Zingaretti, io non parlo a suo nome. Mi spiace dover smentire interpretazioni e fantasie giornalistiche», fa sapere. «In genere appunto Nicola per parlare usa la sua voce o i canali che ritiene più opportuni: il portavoce, lo staff e i rappresentanti della mozione. Io credo di essere stato chiamato a coordinare Piazza grande esattamente perché esterno al Pd e perché espressione di una sinistra civica che cerca di contribuire alla ricostruzione scegliendo un terreno unitario». «Piazza grande ha l’ambizione di valorizzare le differenze. Con Zingaretti abbiamo storie e a volte opinioni diverse che non ci hanno impedito di costruire insieme un modello vincente di centro sinistra», conclude, «e questo è lo spirito con cui ricostruiremo il centro sinistra dopo il 3 marzo».

COME CALENDA, come la scissione renziana, e la Puglia dove è in atto uno scontro fra zingarettiani pro e contro Emiliano, ecco un altro dei nodi che verranno al pettine dopo il 3 marzo.