«Tra la prima ondata e quella attuale non è stato fatto nulla, si stanno ricominciando a muovere adesso. Hanno solo aumentato i tamponi che ora vogliono ridurre. Il personale sanitario adeguato all’emergenza non è stato assunto, il territorio è abbandonato e assistiamo anche alla vergona dei vaccini anti-influenzali comprati a cinque volte il prezzo di mercato e non disponibili per tutti».

Il j’accuse del medico Antonio Cimino è duro si rivolge in primo luogo al duo Fontana-Gallera, presidente e assessore alla sanità della Regione Lombardia, e poi a tutto il governo nazionale. Cimino è referente di Medicina Democratica a Brescia e partecipa alla rete «Non sta andando tutto bene», che riunisce forze politiche, sociali, sindacali, medici e infermieri.

La rete presenta oggi in conferenza stampa una lettera rivolta ai vertici delle istituzioni nazionali, regionali e cittadine. Appuntamento alle 12 davanti allo Spedale Civile della città.

LA LETTERA

Le richieste sono di natura sanitaria ed economica. Intanto: «un reddito universale di base che permetta di vivere con dignità a chi non sta lavorando a causa del Covid-19, un reddito di almeno 1000 euro al mese da finanziarsi anche attraverso il taglio delle spese militari, la reintroduzione di una tassazione fortemente progressiva sui redditi e una patrimoniale sulle grandi ricchezze». E poi: cancellazione della riforma Maroni, norma sperimentale che entro dicembre il governo nazionale deve confermare o revocare; ricostituzione di un sistema sanitario basato sul pubblico; potenziamento della medicina territoriale; richiesta di non trasformare gli Spedali Civili in hub Covid ma di creare strutture ad hoc destinate al contrasto della pandemia.

«La legge 23 voluta da Maroni affonda nella gestione sanitaria di Formigoni che ha spostato sempre più la sanità verso il privato, con l’idea che i due poli avrebbero migliorato l’offerta attraverso la concorrenza», continua Cimino. Il modello ospedalocentrico che deriva da quella riforma è stato additato come uno dei motivi principali della folle corsa del virus nella regione.

La rete denuncia poi che il disastro sanitario ha portato a un «lockdown selettivo» che da un lato rischia di non riuscire a fermare l’impennata dei contagi, dall’altro è stato definito sulla base degli interessi dei gruppi industriali. Chiudono scuole, spazi di aggregazione e si riduce l’orario di funzionamento bar e ristoranti, ma i grandi poli produttivi restano aperti.

«Non si capisce perché non sia stata presa una misura drastica e volta in maniera decisiva a ridurre i contatti tra persone – si legge nel comunicato di lancio dell’iniziativa odierna – Pare che si ripeta una triste storia che se in parte poteva essere giustificata a febbraio per la non conoscenza del virus oggi è inaccettabile: le associazioni di categoria più forti dettano alla politica i loro diktat, si chiude parzialmente ma inutilmente, come dicono molti virologi, solo chi non ha una rappresentanza forte e muscolare». Lo spettro di Confindustria, il cui attuale presidente Bonomi viene proprio dal ramo lombardo dell’organizzazione, si legge tra le righe.

Il reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale Poliambulanza di Brescia, foto di Claudio Furlan/Lapresse (19/03/2020)

NEGLI OSPEDALI

«Per il momento nel nostro ospedale più che il Covid ci preoccupa la disorganizzazione che vediamo ogni giorno», afferma Massimo Biagetti, operatore socio-sanitario presso il pronto soccorso dello Spedale Civile di Brescia e delegato sindacale Funzione pubblica Cgil. Biagetti descrive la situazione lombarda come «a macchia di leopardo», più drammatica a Milano e meno a Brescia. Qui i pazienti sono in numeri inferiori e in condizioni migliori rispetto a marzo-aprile.

Il problema è che da allora non sono state prese le necessarie contromisure. «Delle 200 unità speciali di continuità assistenziale [Usca, ndr] che dovevano essere create per seguire i pazienti a domicilio ne abbiamo solo 50. Gli hotel Covid in cui far trascorrere la quarantena a chi non necessita di ricovero non sono stati approntati. Non è stato assunto il personale necessario a fronteggiare un’emergenza», continua Biagetti. Quest’ultimo punto è particolarmente delicato. Molti professionisti vengono da mesi drammatici, trascorsi in turni senza sosta nella fase primaverile, e da un periodo estivo comunque duro per l’afflusso negli ospedali delle «vittime indirette da Covid».

«Chiamiamo così chi ha dovuto rinunciare alle cure per altre patologie a causa della pandemia e poi si è riversato negli ospedali quando era già in condizioni più gravi. La diminuzione degli accessi dei pazienti registrata in questi giorni prelude a una dinamica analoga che vedremo in primavera», dice ancora Biagetti. E conclude: «Se dovesse accadere di nuovo quello che abbiamo visto nella prima ondata, stavolta il personale non può reggere».

Dei 24.991 nuovi positivi registrati ieri in Italia 7.558 sono in Lombardia (circa il 30%), dove sono stati effettuati 41mila tamponi. 47 i morti. In aumento i ricoveri ordinari (+357, per un totale di 3.072) e in terapia intensiva (+21, per un totale di 291). Il rapporto casi-tamponi ha raggiunto il 18,3%.