Si sono chiusi alle 22 di giovedì 2 marzo i seggi in Irlanda del Nord per le elezioni del parlamento di Stormont, Belfast. I risultati finali non si avranno prima della giornata di domani, ma già si profila un risultato storico. L’affluenza è stata sorprendentemente alta, 64.8%, quasi dieci punti in più rispetto alle elezioni dell’anno passato, e questo può esser visto come una reazione ai recenti scandali che hanno coinvolto il primo ministro unionista e il suo partito, il Dup.

IL RISULTATO IN PERCENTUALE (calcolato sull’espressione della prima preferenza) vede Sinn Féin al 27.93% e il Dup al 28.08. Il partito di Gerry Adams, il cui neoleader del nord è ora la quarantenne Michelle O’Neill, sarebbe ancora il secondo, dietro il Dup, ma è cresciuto di quasi 4 punti, mentre il Dup ha perso oltre un punto.In serata il leader unionista Mike Nebitt ha annunciato le sue dimissioni.

Ma le percentuali assolute non significano molto nel contesto nordirlandese. Il tutto dipende dal particolare sistema uninominale di voto detto single transferable vote, che richiede diversi conteggi. In sostanza, è consentito dare le preferenze anche a candidati di altri partiti nello stesso collegio, e questo prevede che, una volta raggiunta la quota di elezione su un singolo seggio, è poi necessario assegnare le seconde preferenze ai candidati che non hanno raggiunto la quota base per l’elezione diretta.

DI SOLITO, nonostante la possibilità del voto disgiunto, le scelte delle due principali comunità si sono sempre distribuite, nelle preferenze, all’interno di partiti rappresentativi delle stesse. Quest’anno, tuttavia, il leader del partito unionista moderato, lo Uup, ha chiesto ai propri elettori di assegnare le seconde preferenze a candidati del partito nazionalista moderato, lo Sdlp, innescando così una sorta di rincorsa alla coalizione trasversale. Questo per contrastare da un lato il famigerato oltranzismo degli unionisti duri e puri del Dup, e dall’altro per incoraggiare un dialogo tra le fazioni nazionalista e unionista nel tentativo di emarginare le ali estreme. Se questo porterà a qualche risultato è tutto da vedere. I primi risultati sembrano non premiare la strategia cross-community.

PER ORA LA MAGGIORE PAURA del principale partito unionista, il Dup, è quella di scendere sotto la soglia fatidica dei 30 seggi sui 90 totali (divisi in 18 circoscrizioni, e contesi tra 228 candidati). Un simile risultato farebbe perdere loro il ruolo di preminenza intrattenuto negli ultimi anni, a favore probabilmente di una coalizione trasversale la cui forza principale potrebbero essere proprio i repubblicani progressisti di Sinn Féin.

I RISULTATI INCORAGGIANTI del partito repubblicano sono stati accolti dal suo storico leader, Gerry Adams, con entusiasmo: «È un voto a favore dell’unità dell’Irlanda», ha spiegato, aggiungendo provocatoriamente che «come Ian Paisley ha detto a Martin McGuinness, non abbiamo bisogno degli inglesi per autogovernarci».

Lo spoglio, che sembra procedere a rilento ma soltanto per la complessità del sistema di voto, per ora aggiudica più 16 seggi assegnati a Sinn Féin, 10 al Dup, e 11 agli altri partiti, ma è un calcolo assolutamente provvisorio, perché ne restano ancora più di due terzi da assegnare, ed è probabile che si assisterà a un riequilibrio tra le due forze principali.

SE IL RISULTATO FINALE mantenesse, dunque, seppur con i dovuti cambiamenti in termini di rapporti di forza, un sostanziale pareggio tra i due maggiori partiti, il rischio è quello di uno stallo e di un ritorno alla direct rule di Londra nel giro di tre settimane. Sarebbe un epocale passo indietro nei confronti della pacificazione tentata negli ultimi anni, e si rischierebbe una situazione di grave instabilità, soprattutto alla luce dei i difficoltosi negoziati del Brexit, e della volontà chiaramente espressa dai nordirlandesi per il remain.

LA POSSIBILITÀ, inoltre, di un ritorno a un confine materiale tra le due irlande a seguito dei negoziati, assieme alla probabile sospensione della devolution avrebbe conseguenze potenzialmente disastrose anche per il processo di pace, già minato dal forte riemergere di movimenti dissidenti, da sempre contrari al peace process.