Un solo, difficilmente contestabile, giudizio sul voto in Catalogna: è stata una prova di grande fiducia nella democrazia. Come fu, nel 2014-2015, per la Grecia attanagliata dai diktat sul debito della Germania e dell’Ue. Stavolta, nonostante il clima arroventato dalle scelte repressive del governo di Madrid, c’è stata la risposta di una grande affluenza elettorale, oltre l’81%.

Inimmaginabile nel malato contesto europeo. E tutto questo mentre la leadership degli indipendentisti catalani era a dir poco sotto tiro, chi in galera, chi in un esilio; sotto ricatto economico con le aziende in fuga grazie a una pronta legge governativa, e dentro una cappa pericolosa di etero-direzione politica, con l’applicazione dall’alto dell’articolo 155 della costituzione spagnola che ha cancellato non solo i risultati del referendum autogestito del 1 ottobre e la proclamazione d’indipendenza che ne era seguita.

La mossa del governo Rajoy ha anche sciolto e commissariato gli stessi organi democratici, rappresentativi e di governo, della nazionalità catalana costituzionale, imponendo nuove elezioni scelte a distanza e presentate da Madrid come resa dei conti finale e risolutiva.

Ora i risultati di queste elezioni, molto ben oltre i numeri, mostrano importanti novità: gli indipendentisti, accettando la sfida e facendo di dura necessità (la repressione) virtù, hanno vinto. Con la conquista, tutt’altro che scontata, della maggioranza e con una sostanziale tenuta dell’intero fronte indipendentista – dalla destra catalana nazionalista, al centrosinistra, a Podemos catalano, all’estrema sinistra della Cup. Mentre esplode con evidenza la deriva del Pp centralista di Mariano Rajoy, il premier sconfitto su tutti i fronti, vista l’affermazione come primo partito catalano di Ciudadanos, lo stesso che “sostiene”, con i socialisti del Psoe, il governo centrale.

Certo sul campo emergono luci ed ombre.

Se i voti agli indipendentisti sono superiori a quelli avuti nel referendum autogestito e represso dalle forze di polizia, ecco che si ridimensiona l’anima ragionante, interlocutoria (e perfino unitaria) della sinistra, quella di Podemos e della sindaca Ada Colau; insieme al calo dell’estrema sinistra anticapitalista della Cup.

Tuttavia, le prime dichiarazioni di tutti i leader indipendentisti e del president Puigdemont da Bruxelles, fanno intendere che ad una coalizione di governo indipendentista si sta lavorando e ci sarà. Resta da vedere che fine farà l’indipendenza. Ma certo ora non basta davvero più minacciare, come Rajoy ha fatto fino a poche ore dal voto, che non sarebbe cambiato nulla perché la Catalogna resterà commissariata e con i suoi leader in galera o in esilio.

Così, ed è questo probabilmente il risultato più rilevante, la partita si sposta a Madrid e dalla Catalogna passa all’intera crisi spagnola. Ricordando che la precipitazione catalana è potuta accadere solo perché, dietro presunte rivendicazioni di risoluzione della crisi economica, la destra spagnola, il premier Mariano Rajoy con il sostegno recente in primo luogo di Ciudadanos (i civici di destra) e alla fine del Psoe, sono rimasti immobili nella difesa senza alternative del Patto della Moncloa del 1978, quello con cui anche la monarchia traghettò la Spagna fuori dal buio del Franchismo, il regime fascista spagnolo, che per 40 anni cancellò la democrazia massacrando in particolare quella catalana.

È ora che si intenda che quel patto del ‘78 e la stessa monarchia, erano e sono in crisi profonda e ormai fuori dalla storia: che resta di quei partiti dell’altro secolo e dell’attuale corrotta Casa reale? Così la mossa della repressione invece del dialogo, ha mostrato quale fosse l’origine della crisi. Non solo e non tanto le irresponsabilità delle auto-proclamazioni indipendentiste che hanno accelerato sulla sovranità nazionale però a corto di valutazione dei rapporti di forza interni, in Spagna e in Europa. Ma quelle del centralismo statuale spagnolo fortemente riproposto in questi ultimi anni di crisi economica e sociale, tutt’altro che risolta in terra spagnola come ricorda perfino il Fondo monetario internazionale.

Fino a ricordare che dietro il conflitto intestino con Barcellona c’è stata l’iniziativa scellerata proprio di Mariano Rajoy, il grande sconfitto di queste elezioni, che nel giugno del 2010 fece cancellare dal Tribunale costituzionale in modo avventuroso lo Statuto di Catalogna – che recitava «la Catalogna è una nazione» – nonostante fosse stato approvato sia dai parlamenti di Barcellona che di Madrid.

Ora c’è una sola, vera soluzione. Che il partito socialista spagnolo si ravveda – pena sparire – , aprendo una crisi politica a Madrid. Come domanda, inascoltato, Podemos. Dopo il voto a Barcellona ora bisogna chiedere subito elezioni anticipate in Spagna. L’affermazione di Ciudadanos dice che sono profondamente cambiati, anche a destra, gli equilibri politici spagnoli. Ma soprattutto, per togliere erba sotto i piedi dell’indipendentismo nazionalista, per modificare profondamente le sedi della rappresentanza democratica nazionale, con un nuovo patto costituzionale che inscriva le nazionalità dentro una configurazione istituzionale federale e, finalmente, repubblicana.