Gino Roncaglia, docente di Informatica applicata alle discipline umanistiche e Applicazioni della multimedialità alla trasmissione delle conoscenze all’Università della Tuscia di Viterbo, dai primi anni ‘90 è pioniere della informatica umanistica in ambito italiano e di cui oggi è diventato esponente autorevole anche a livello internazionale. Ieri, in conclusione del convegno Bibliotecari al tempo di Google alla Fondazione Stelline di Milano, ha segnalato come quel che attiene le digital humanities interessi direttamente i bibliotecari e viceversa, ciò perché «il lavoro del bibliotecario ha a che fare in molti casi con una riflessione sulle forme del testo». Posizione corroborata da anni di approfondimenti sul mondo digitale e del web, soprattutto in relazione ai luoghi della lettura e al mercato editoriale. La cosiddetta disintermediazione, parola-feticcio del web secondo Roncaglia, non comporta la sostituzione di figure come editori, professionisti del libro e anche bibliotecari.. Cambiano le forme della mediazione ma «proprio perché la quantità di contenuti disponibili è così alta, servono degli strumenti efficaci per scoprire i contenuti utili, di valutare se un certo contenuto è validato o no». Più in generale, «nel mondo digitale – spiega Roncaglia – c’è una prevalenza di contenuti brevi e poco strutturati (mail tweet, post, sms), collegati variamente tra loro con una grande complessità orizzontale ma con scarsa complessità verticale. Spesso si dice che il mondo digitale è naturalmente granulare ma non è esatto; c’è molta complessità come nel mondo analogico, è che il primo è molto più giovane. In un certo senso chi si porta dietro l’eredità della forma-libro – articolata e complessa nella organizzazione dei contenuti – è il soggetto che può lavorare meglio di altri alla riconquista della complessità anche nel mondo digitale».

Di recente ha commentato alcuni punti critici su ebook, editoria digitale e dati delle vendite per l’anno 2015. In questa ottica di superamento di una certa superficialità dai toni trionfalistici, lei dichiara che l’ebook non sia un medium «esplosivo» come altri. E soprattutto non soppianti niente. Ci spiega meglio?

Sia negli Stati Uniti che nei paesi anglosassoni il dato delle vendite di ebook si ferma al 28% mentre nell’Europa continentale i dati sono molto più bassi. Arrivati tuttavia a questi scalini, le vendite dei libri elettronici si sono un po’ fermate. Riguardo la tipologia dei media, distinguo tre tipi di media: da un lato i media totalmente innovativi, quelli cioè che portano un uso dell’informazione che prima non c’era, per esempio la tv, la radio o internet che non hanno sostituito niente piuttosto sono stati una assoluta novità. Poi invece ci sono i media completamente sostitutivi, come per esempio il computer rispetto la macchina da scrivere o la musica digitale che ha di fatto soppiantato i vinili o le musicassette. Nel caso invece del libro elettronico, forse vi sarà una piena sostituzione, in tempi lunghi, ma per il momento è progressiva, in un processo di aggiustamento graduale che io credo avvenga a scalini, e in cui vi è ancora un costante confronto tra tecnologie.

Tra le questioni sollevate già nel suo «La quarta rivoluzione» (Laterza 2010), vi è l’interfaccia di lettura, cioè il supporto del testo, che ha un ruolo cruciale nelle forme e nei modi di lettura. Le caratteristiche del supporto e il contesto materiale della lettura secondo lei compongono testualità e letture più o meno possibili. Come è cambiato il panorama in questi sei anni?
La novità principale di questi sei anni è la diffusione da un lato dei dispositivi di lettura basati su carta elettronica e inchiostro elettronico, come la maggior parte dei kindle; dall’altro lato invece i tablet. Ciò implica una conseguenza importante: non esiste ancora un ambiente di lettura digitale unico a cui editori e lettori possano fare riferimento. Sono due strade diverse, ciascuna delle quali ha vantaggi e svantaggi: la carta elettronica somiglia di più alla carta normale però ha il grosso svantaggio – almeno al punto in cui si trova la tecnologia attuale – di non permettere l’uso dei colori, dei filmati, cioè non ha capacità multimediali avanzate. Invece i tablet, così come gli smartphone che vengono pure utilizzati per leggere, hanno grandi capacità multimediali ma si leggono male alla luce del sole, le batterie durano di meno e sono molto più distrattivi perché non dedicati esclusivamente alla lettura. Questa distinzione del mercato in due dispositivi diversi dimostra che in realtà il mondo della lettura digitale non è ancora completamente maturo. Nessuno dei due è chiaramente migliore della carta come ambiente di lettura. Certo, vi è la competizione del digitale ma la sua è una presa molto diversificata nel mercato. Per esempio la situazione dell’editoria digitale negli Stati Uniti non è certo quella dell’Europa continentale.

Il sistema italiano MLOL prevede il servizio di prestito bibliotecario online agli utenti di contenuti digitali; si chiama digital lending bibliotecario ed è diffuso dal 2009 in particolare nelle biblioteche di pubblica lettura, anche se non è il solo; pensiamo solo alla rete Indaco di Data Management impiegata da chi usa il software Sebina e tuttavia partita dopo MLOL. Il digital lending pone delle perplessità tra editori e distributori per il malinteso secondo cui chi si serve del prestito di ebook sarebbe un acquirente mancato?

Sono dell’idea che il prestito bibliotecario anche digitale debba essere guardato con favore e non con preoccupazione perché ha il compito di allevare lettori, tutti i dati che abbiamo mostrano come il prestito bibliotecario, fisico o digitale, non danneggi affatto la salute del mercato editoriale, ma anzi contribuisca a farlo crescere. Il digital lending suscita le stesse perplessità che suscitava il prestito bibliotecario tradizionale; purtroppo in Italia per molto tempo gli editori hanno visto le biblioteche non come delle naturali alleate per diffondere la pratica della lettura – e quindi dei laboratori di costruzione di lettori che servono enormemente anche alle case editrici – ma come dei luoghi in cui si fornivano gratuitamente dei libri che invece potevano essere venduti. Ovviamente non c’è concorrenza, in tutto il mondo infatti quanto più lavorano le biblioteche tanto più lavora il mercato editoriale, lavorano entrambi seppure in diversi modi alla diffusione del libro e della lettura. La domanda che dovremmo porci è se con il digitale, che a differenza della copia cartacea risulta corrispondente all’originale, è ancora possibile che l’utente desideri comprare il libro per poterne disporre o forse c’è il pericolo che si vada a sostituire. Per ovviare a questi rischi sono state costruite una serie di limitazioni, intanto quella del prestito che è limitato a un numero di giorni preciso e solo in una piattaforma specifica. Naturalmente gli editori, nonostante queste strategie messe in atto, hanno paura che qualche lettore possa essere capace di togliere le limitazioni e fare copia del file e a quel punto copiarlo e diffonderlo gratuitamente. Ma la pirateria non dipende dal prestito digitale, ci sarebbe comunque, e va combattuta con altre armi: a cominciare dall’integrazione fra e-book e servizi.

Per gli abbonamenti a pacchetto – per esempio kindle unlimited – quali sono le reazioni degli editori al fenomeno?

La realtà dei pacchetti per cui si può pagare un abbonamento e prendere tutti i libri che si vogliono, pensiamo al modello di spotify, ha per ora un grosso limite e cioè che i libri che possono essere scelti sono sì molti ma non sono rappresentativi del mercato editoriale perché mancano molti dei grossi editori. Con kindle unlimited per esempio non posso leggere libri Einaudi o Feltrinelli (per citarne un paio) a differenza di ciò che succede invece in MLOL dove la scelta è sicuramente più rappresentativa. C’è poi l’esperimento di MLOL plus che è un ibrido tra il digital lending e il pacchetto per capire se si può creare una scelta maggiormente rappresentativa di titoli e quindi l’appetibilità per i lettori forti. In questo momento il controllo di kindle unlimited è di Amazon di cui gli editori hanno un’enorme paura. Anche per il rischio di alterare i livelli di redditività: il mercato editoriale non si regge sui libri letti ma su quelli acquistati mentre nei pacchetti il livello di redditività si basa sui libri aperti e letti almeno in parte quindi il meccanismo è proprio diverso. Allora il fatto che ci sia una proposta che arriva da MLOL plus e non da Amazon significa per gli editori poter trattare con un soggetto esterno da una posizione non più di relativa debolezza.