I numeri di ieri sono praticamente identici a quelli del giorno precedente. Sono 766 le vittime in 24 ore (6 più di giovedì) e il totale dei morti arriva a 14681. 4585 i nuovi casi positivi, contro i 4668 del giorno prima. Nel complesso, finora quasi 120 mila persone sono risultate positive dall’inizio dell’epidemia. I test effettuati sono poco meno di quarantamila, e anche questo dato è praticamente invariato. Siamo sul «plateau», la discesa non è ancora iniziata.

TRA LE REGIONI, SPICCA ancora la Lombardia, con 351 morti e 1455 contagi in 24 ore. Negli ospedali lombardi è stato necessario trovare altri 30 posti letto in terapia intensiva ma la situazione sembra meno grave di qualche settimana fa. «I nostri ospedali stanno iniziando a respirare», dice l’assessore al welfare della Lombardia Giulio Gallera. I dati regionali sono ritenuti «confortanti, si è arrestata la crescita e siamo in una fase di stabilizzazione che tende a ridursi. Il nostro sforzo sta producendo risultati». Gallera ha spiegato che i tamponi aumenteranno ancora: «Diventano 31 i laboratori di analisi. È una potenza di fuoco che è cresciuta, siamo a circa 10mila tamponi al giorno che possiamo processare ma c’è un problema di reagenti e il numero è comunque limitato rispetto alle necessità.

SUI TEST, NEGLI ULTIMI giorni le regioni sono sembrate muoversi in ordine sparso, divise tra i «tamponi» (i test utilizzati finora, ma insufficienti) e i test «sierologici» (sugli anticorpi e non sul virus). Ieri è intervenuto il ministero della Salute con una circolare che taglia il dibattito: «il risultato qualitativo ottenuto su un singolo campione di siero non è sufficientemente attendibile per una valutazione diagnostica», scrivono i tecnici del ministero, perché «l’assenza di rilevamento di anticorpi non esclude la possibilità di un’infezione in atto in fase precoce o asintomatica e relativo rischio di contagiosità dell’individuo». La circolare apre però ai «test rapidi» sul virus, che possono dare risultati in tempi più brevi rispetto a quelli usati finora. Il ministero ha dato il via libera ai laboratori mobili o «drive-in clinics», in cui il tampone si fa dal finestrino dell’auto. Infine, ha rivisto i criteri per somministrare i test. D’ora in poi anche gli operatori delle residenze sanitarie assistenziali, oltre a quelli degli ospedali, ne avranno pieno diritto, così come le persone fragili per ragioni di età o per la presenza di altre patologie. Principale novità: nelle aree in cui il virus circola poco e i laboratori non sono oberati, tutti i pazienti con infezioni respiratorie dovranno essere sottoposti a tampone.

DELLA NECESSITÀ di disporre di mascherine efficaci si è discusso durante la conferenza stampa bisettimanale all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in cui gli esperti del Comitato Tecnico Scientifico analizzano i dati alla presenza (limitatissima) dei media. L’Iss «ha autorizzato 50 aziende italiane a produrre mascherine chirurgiche» ha annunciato il presidente Silvio Brusaferro, e tra queste c’è anche quella che le produrrà per la Lombardia. Per ora il Comitato non prevede l’obbligo di indossarle all’aria aperta in una futura «fase due» perché la permanenza nell’aria del virus sembra poco credibile. «Al momento la letteratura scientifica – ha spiegato Brusaferro – indica che le principali vie diffusione del virus sono quelle per droplet (goccioline di saliva, ndr) e per contatto».

ANCHE L’ISTITUTO HA ammesso che i test svolti finora non danno un quadro completo del contagio perché sottostimano sia gli infetti che i morti. Per conoscere il numero delle persone infette serviranno screening su larga scala basati, quelli sì, sulla ricerca degli anticorpi. Per misurare la reale mortalità del coronavirus non basteranno i numeri forniti quotidianamente dalla Protezione Civile, sostiene Brusaferro, ma bisognerà ricorrere ai dati demografici. I decessi in più registrati quest’anno all’anagrafe rispetto a un anno fa possono essere ragionevolmente imputati al Covid-19. Sarà dunque l’Istat a disegnare la dimensione reale dell’epidemia e sta già facendo la sua parte. Da qualche giorno sono online le cifre relative ai decessi aggiornate al 21 marzo per un migliaio di comuni italiani. Il campione copre soprattutto la Lombardia e quindi consente di avere un dato piuttosto affidabile su quanto è avvenuto realmente nella zona rossa. Dai dati Istat sul campione lombardo (circa la metà della popolazione regionale) si apprende che nel periodo 1-21 marzo sono state registrate circa 5000 morti in più rispetto all’anno scorso. Nei dati della protezione civile relativi all’intera Lombardia le morti per Covid-19 sarebbero state solo 3000. Nella zona più colpita ci sono quindi almeno duemila vittime «fantasma», persone morte in casa o in residenze per anziani a cui il test non è mai stato fatto.