Secondo i dati comunicati alla Protezione Civile, nelle ultime 24 ore sono stati registrati 24.099 casi positivi al coronavirus e 814 decessi per Covid-19. I nuovi casi sono stati confermati da 212 mila test. La percentuale di test positivi rispetto a quelli eseguiti risale dunque all’11,3%. Il numero di decessi resta dunque molto elevato, anche se non sui livelli record toccati giovedì, quando erano stati 993. La correttezza del numero dei morti è stata messa in discussione, perché la Regione Lombardia avrebbe comunicato in ritardo 128 morti risalenti a oltre una settimana fa. Ma non è un argomento per sostenere che il dato ufficiale sovrastimi quello reale. In realtà, le comunicazioni in ritardo avvengono quotidianamente. Tra i decessi comunicati ieri dalla Liguria, ad esempio, ce ne sono alcuni avvenuti oltre un mese fa. Dunque, è probabile che dai dati del giorno ne manchi una parte che verrà riportata nelle prossime settimane.

PIÙ CHE DAL BOLLETTINO quotidiano, però, ieri l’attenzione è stata monopolizzata dai numeri con cui la Cabina di Regia composta da ministero della Salute, Regioni e Istituto Superiore di Sanità ha disposto le nuove zone rosse, arancioni e gialle. L’ordinanza firmata ieri dal ministro della salute Speranza ha infatti spostato Campania, Toscana, Valle d’Aosta e Alto Adige dalla zona rossa a quella arancione. Mentre Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Puglia e Umbria sono diventate gialle da arancione. L’unica regione rossa rimane dunque l’Abruzzo.

IL RISCHIO PANDEMICO è giudicato in via di attenuazione dagli esperti, se su 20 regioni solo in Calabria, Lazio, Molise, Veneto e Toscana l’indice di trasmissione Rt supera, di poco, la soglia critica di 1. Il dato calabrese però è giudicato poco attendibile, perché la regione fornisce informazioni complete solo sul 30% dei casi, impedendo valutazioni troppo accurate da parte degli epidemiologi. L’affanno del sistema di test e tracciamento però non riguarda solo la Calabria. Una volta comparsi i sintomi, per accedere a un tampone bisogna aspettare 6 giorni in Sardegna, Basilicata e Calabria, 7 in Piemonte e addirittura 8 in Puglia.

DI FRONTE A UN QUADRO in miglioramento ma con molte ombre, come spesso avviene tocca al direttore della prevenzione e membro del Comitato Tecnico Scientifico Gianni Rezza richiamare alla prudenza. «Rt a 1 ci sembra molto buono rispetto a 1,5-2 che fino a poche settimane fa alcune regioni avevano» spiega ai giornalisti nel presentare il rapporto della Cabina di Regia. «Ma vuol dire sempre che con 20mila positivi questi ne possono contagiare altri 20mila. Per abbassare di molto il carico totale bisogna andare in maniera sostenuta ben al di sotto di 1». Anche se la situazione inizia a migliorare, in 16 regioni su 20 i pazienti Covid occupano oltre il 30% dei posti letto in terapia intensiva e in 14 oltre il 40% dell’area medica. Al di là di questa soglia, gli ospedali sono costretti a rimandare gli interventi su altre patologie, amplificando l’effetto sanitario della pandemia. In tutto, i posti letto di rianimazione occupati sono 3.567, 30 meno di ieri. Secondo i dati dell’Iss l’età media dei ricoverati in terapia intensiva è intorno ai 70 anni, un valore rimasto sostanzialmente stabile durante tutta la pandemia.

NEI REPARTI ORDINARI, ci sono 572 posti letto liberi in più e i pazienti ricoverati sono 31.200. Contrariamente a quanto si ritiene in genere, è in questi reparti e non in terapia intensiva che avviene la maggior parte dei decessi. Secondo i dati dall’Iss, solo il 20% dei decessi in ospedale si verificano in terapia intensiva. Il dato è confermato anche dai dati della protezione civile, che da giovedì comunicano anche il numero di ingressi in terapia intensiva. Ieri, ad esempio, sono state ricoverate 201 persone in terapia intensiva e ne sono uscite 231. Perciò, gli 814 decessi di ieri sono avvenuti soprattutto in altri reparti, o in altre strutture di degenza. Anche durante la prima ondata i numeri andarono nello stesso modo. In parte, questo fu dovuto alla scarsità di posti letto di fronte allo tsunami di casi soprattutto in Lombardia. In uno studio sui 1600 pazienti passati per le terapie intensive lombarde fino al 18 marzo, solo 21 avevano più di 80 anni. Ma anche con molti posti letto in più, un gran numero di pazienti gravi è destinato a non passare mai per i reparti di rianimazione. La ragione di questa esclusione è l’età, e più in generale la fragilità dei pazienti critici.

L’ETÀ MEDIA DELLE VITTIME oscilla intorno agli 80 anni, quando procedure invasive come l’intubazione e l’anestesia sono altrettanto pericolose della malattia in sé. In secondo luogo, molte terapie di supporto possono essere somministrate anche in terapia sub-intensiva. In ogni caso, il dato sfata una leggenda assai diffusa: non sono stati i pazienti più anziani a riempire le terapie intensive.