Il fuoco amico è ormai l’incubo principale di Carles Puigdemont. Sembra che sia solo Mariano Rajoy a non aver capito se è stata dichiarata l’indipendenza o no.

Perché nel fronte indipendentista danno tutti per scontato il no e la maggior parte dei soci politici e sociali del Govern hanno passato gli ultimi cinque giorni a spingere il capo dell’esecutivo catalano a rimangiarsi la «sospensione» di martedì scorso e a dichiarare l’indipendenza.

Sebbene il socio di governo principale di Puigdemont, il vicepresidente e capo di Esquerra Republicana Oriol Jonqueras, abbia chiesto ai suoi di serrare le fila dietro al President (offrendogli «unità e fiducia») e i vertici di Associazione nazionale catalana e Òmnium culturale (le due associazioni che riuniscono milioni di persone nelle piazze a sostegno dell’indipendenza) continuano pur internamente divisi a sostenere Puigdemont, è dalla Cup che arriva la principale minaccia.

Nella riunione del Consiglio politico che si è tenuta ieri, la formazione anticapitalista ha deciso di esigere che il Govern risponda alla formale richiesta del governo spagnolo di sapere se l’indipendenza è stata dichiarata o no, con una risposta «nitidamente affermativa».

Accompagnandola con una, stavolta sì, «dichiarazione solenne» della Repubblica Catalana. In caso contrario, la Cup promette di abbandonare l’attività parlamentare, privando Puigdemont della maggioranza che lo sostiene.

Secondo la deputata della Cup Eulàlia Reguant, la miglior maniera di ottenere una mediazione internazionale è quella di dichiarare l’indipendenza. E ammette che a un certo punto del processo indipendentista, sono stati mandati via dalla «sala macchine» e che ora sono informati delle decisioni del Govern solo a posteriori.

D’altra parte, il blocco cosiddetto «costituzionalista» (Pp, Psoe e Ciudadanos) punta tutto sulla convocazione di nuove elezioni in Catalogna, l’opzione più probabile se la settimana prossima il governo deciderà di applicare il famigerato articolo 155 che sospenderebbe l’autonomia.