Un film italiano dallo sguardo differente, Cuori puri esordio nel lungometraggio di Roberto De Paolis, presentato alla Quinzaine ed ora in sala. Formazione di fotografo, autore di corti in bilico tra documentario e finzione, costruisce una storia con inediti elementi mantenuti vivi in maniera sotterranea e con un avvicinamento sensibile ai suoi due giovani protagonisti. Inoltre è partecipe di quel filo rosso che lega parecchi film visti in questi giorni a Cannes, il tema del territorio assediato e delle sue difese. Di carattere molto personale (la verginità) è il baluardo difeso dalla protagonista (Selene Caramazza), una ragazzina al margine della maggiore età.

Si tratta di un tema inconsueto per il nostro cinema, a parte la schiera delle povere ragazze sedotte e abbandonate dei melò anni ’50. Agnese è una militante cattolica appartenente a un gruppo di preghiera, guidata nella sua fede da una madre pia (Barbora Bovulova) a fare la promessa di castità prima del matrimonio. E quell’anello che sigilla la promessa lo abbiamo già visto nel film di Zanussi, Foreign Body (2014), pamphlet sulla purezza e il degrado sociale.
Roberto De Paolis è dalla parte dei suoi protagonisti, li segue amorevolmente. Accompagna la freschezza di Agnese nel suo quartiere della periferia romana dove compie una trasgressione, un piccolo furto in un centro commerciale, occasione di scontro con il sorvegliante Stefano (Simone Liberati) che la rincorre per un bel po’, ma alla fine la lascia andare e perde il posto.

Ora è messo a sorvegliare il desolato parcheggio del supermercato. Qualcosa li unisce: lei con il suo percorso di difesa della verginità, lui in difesa del territorio, il parcheggio accerchiato dall’insediamento rom, circondato da una rete facilmente scavalcabile, oggetto di minacce e scaramucce. Tra di loro si crea un rapporto ruvido ma sempre più intenso, mentre la madre di notevole intransigenza veglia sulla purezza della figlia. Tenero e sottile, per niente banale, si direbbe spontaneo: il regista ci diceva, nell’intervista pubblicata su Alias del 13 maggio che il suo è stato un lavoro che ha utilizzato le effettive personalità dei personaggi, tirando fuori le caratteristiche appropriate alla storia, una certa ombrosità in Stefano, la curiosità non morbosa di Agnese, quella dose di durezza pescata nel profondo del carattere della Bobulova.

La tensione procede parallela nella vita dei due ragazzi e finisce per intrecciarsi: la difficoltà della sopravvivenza per la famiglia è come un baratro che si profila nella vita di Stefano, la paura di condividere il destino di quelli oltre la rete che vivono nelle roulotte, degli amici che spacciano, di perdere ancora una volta il lavoro per quanto di infima qualità. Per Agnese la decisione di farla finita con quella promessa. Film di educazione sentimentale, di ingresso nella vita adulta, di intuizioni, dove non c’è bisogno di tante parole per capire l’integrità l’uno dell’altra.

Si sente infine che il regista non ha avuto una educazione religiosa dal fatto che la formazione è talmente martellante da non avere bisogno di nessun anello a consolidare i principi, ogni comportamento è interiorizzato, ma qui il controllo assume un significato contro ogni fondamentalismo.