L’8 dicembre scorso, dopo una lunga malattia, è morto John Trudell, nativo americano Sioux-Santee, conosciuto come poeta, cantautore, attore e attivista per le minoranze indigene. Era nato in Nebraska il 15 febbraio del 1946 ed era cresciuto nella riserva indiana Santee, al confine con il Sud Dakota. Il tumore che gli ha preso la vita si è portato via anche un simbolo, un riferimento, un pezzo importante di storia della resistenza cinquecentenaria dei popoli nativi americani.

La storia di John Trudell vale la pena di essere ricordata, perché piena di avvenimenti importanti e anche tragici, che ne hanno segnato profondamente il percorso umano, politico e artistico. A 17 anni lasciò la scuola per arruolarsi in Marina e, come tanti altri nativi americani discriminati come cittadini ma apprezzati come carne da macello, partì per il Vietnam. Poi, nel 1967, abbandonò la carriera militare.

La rivolta di Alcatraz

Trudell abbracciò l’impegno civile prendendo parte alla storica occupazione dell’isola di Alcatraz, nel 1969, assieme a migliaia di altri nativi americani di tutte le tribù, per denunciare i diritti calpestati delle popolazioni indigene. Trudell fu anche una delle voci più alte che testimoniavano quotidianamente quel che accadeva ad Alcatraz, in una trasmissione radiofonica notturna. L’occupazione andò avanti fino al 1971, ma i media e i politici di allora insabbiarono quella rivolta pacifica, facendo di tutto per distogliere l’attenzione da quelle sacrosante rivendicazioni.

Nel frattempo Trudell era diventato uno degli esponenti di spicco dell’Aim (American Indian Movement). Nel 1974, quando era presidente nazionale del Movimento, durante una riunione di preparazione per la Conferenza intertribale dei trattati, Trudell parlò dei mutamenti che dovevano prodursi in seno al movimento stesso, affinché diventasse possibile ottenere risultati positivi per i popoli nativi. E non erano mutamenti da poco: «Dobbiamo abituarci a pensare in termini di comprensione e amore – affermò nel suo discorso -. Invece siamo caduti nella rete dell’odio contro l’uomo bianco. Per quello che ci ha fatto. E quest’odio affiora spesso. Ma è necessario che cominciamo a capire i sistemi del colonialismo. I sistemi usati dai bianchi per sfruttarci e tenerci sotto il loro potere. Il nostro nemico non sono gli Stati uniti. Il nostro nemico non è il singolo uomo bianco. Il nostro nemico è l’uomo bianco nella sua collettività sociale. Ci vendono i fucili e ci guadagnano sopra. Ci hanno ridotto al punto di poter profittare delle nostre paure e delle nostre emozioni. E pensano ancora di poterci insegnare qualcosa con i loro manganelli, i loro fucili e le loro bibbie. Ma se studiate la loro strategia generale vedrete che essi approfittano della nostra militanza e del nostro spirito per cercare di separarci e isolarci dal resto della nostra gente.. A me pare che quando succede un fatto come Wounded Knee gli uomini bianchi che sono dalla nostra parte dovrebbero prendere loro stessi il fucile e battersi contro gli altri bianchi».

Schedato in 17mila pagine

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John Trudell con la moglie Tina e i due figli negli anni ’70

Inevitabilmente Trudell finì sul libro nero dell’Fbi, che su di lui aprì un fascicolo di ben 17mila pagine. Ormai gli era stata dichiarata una guerra aperta, totale. Ma il peggio per lui purtroppo doveva ancora arrivare. Nel 1979 si trovava a Springfield, a capo di una manifestazione contro le intimidazioni e la violenza esercitate dall’Fbi contro le popolazioni native. Venne bruciata una bandiera americana, vennero intonati cori di protesta e ci furono scontri in seguito ai quali Trudell venne ferito e poi arrestato.

Dodici ore dopo la dimostrazione, mentre era recluso nell’infermeria del carcere, ignoti appiccarono il fuoco alla sua casa, uccidendo sua moglie Tina, che era incinta, i loro tre figli piccoli e la madre di lei. Fu tutto archiviato come «incendio accidentale», ma per molti quel massacro aveva un nome e un mandante, cioè l’Fbi, solo che era impossibile da perseguire giuridicamente per l’ovvia mancanza di prove e testimoni.

Trudell finì letteralmente spezzato da quella vicenda, smise i panni della protesta attiva e lasciò che nuovi linguaggi emergessero, sia per lenire le sue ferite interiori che per continuare a denunciare l’ingiustizia. Scoprì così nella poesia un nuovo modo di comunicare il suo pensiero: «Il chiudere le vostre porte / non ci chiuderà mai fuori / il chiudere le vostre porte / può solo chiudervi dentro», ricordavano i suoi versi.

E dal successivo incontro con Jackson Browne, che poi divenne suo produttore, nacque un’interazione tra poesia e musica, un incontro fra tradizione e blues. Già il suo secondo album, Aka as Graffiti Man, nel 1986 venne definito da Bob Dylan «il miglior disco dell’anno». Da allora John Trudell ha continuato ad affiancare l’attività poetica e musicale a quella politica e oggi la sua discografia conta ben 16 album. L’anno scorso gli è stato assegnato il Premio Tenco, nell’edizione dedicata alle «Resistenze».

Negli anni ’90, per la prima volta, si sperimenta anche come attore, nel film diretto da Michael Apted, uscito nel 1992, Cuore di tuono, dove Trudell interpreta praticamente se stesso nel ruolo dell’attivista Kimmy Doppio Sguardo. Nel cast figuravano anche attori come Val Kilmer, Graham Greene e Sam Shepard.

https://youtu.be/7P79Di4muow

Lo stesso Apted l’anno precedente aveva girato un altro documentario, Incident a Oglala, che narrava la storia del lakota-cippewa Leonard Peltier, storico prigioniero politico ed emblema dei nativi americani finiti ingiustamente in carcere. Poi, nel 2005, dopo dieci anni di lavorazione, viene presentato al Sundance Festival un film biografico intitolato Trudell e diretto dalla regista Heather Rae.

Quella volta che incontrai a Roma Trudell, nel 1999, lui era in Italia per una serie di concerti e doveva esibirsi con la sua band al Big Mama. Lo avvicinai e gli parlai dei miei corrispondenti nativi americani prigionieri nel braccio della morte, chiedendogli se si potesse fare qualcosa per il vecchio cherokee Ray «Running Bear» Allen (la cui vicenda fu seguita ampiamente dal manifesto), che aveva avuto la data d’esecuzione segnata sul calendario. Lui mi squadrò, quasi come stesse facendo una radiografia alla mia anima, poi disse semplicemente: «Tra la prima e la seconda parte del concerto, sali sul palco, hai il mio appoggio totale e tutto il tempo che vuoi per fare l’appello in sostegno di Running Bear».

Sopra l’albero di Natale

John Trudell ci lascia ora alle soglie del nostro Natale cristiano, che per il suo popolo è anche il Natale dell’invasore e dell’oppressore.

Così ci piace ricordare alcuni versi di una sua poesia tratta dal libro Stickman, pubblicato in Italia nel 1995 con le edizioni Selene e intitolata proprio Per l’albero di Natale: «L’invasore dà inizio alla sua purificazione invernale /con il Natale /dice che è per onorare Cristo /che egli ha ucciso, il principe della pace /è ora onorato con il sacrificio degli alberi /gli assassini con le loro asce ti ammazzano parente mio /e poi ti elettrificheranno con luci e decorazioni / … la felicità degli invasori sembra senza profondità /il loro Natale è solo il dono dei regali e l’uccisione degli alberi /la pace condivisa è perduta nel vendere e nel comprare /per loro vi è sempre un prezzo /e questo è quello che pagano per il tuo inutile sacrificio…».