«Io penso che, prima, non si debba mai, in nessun caso, temere la strumentalizzazione da parte del potere e della sua cultura. Ma penso anche che, dopo, bisogna saper rendersi conto di quanto si è stati strumentalizzati, eventualmente, dal potere integrante. Io abiuro dalla Trilogia della vita, benché non mi penta di averla fatta. Non posso infatti negare la sincerità e la necessità che mi hanno spinto alla rappresentazione dei corpi e del loro simbolo culminante, il sesso. Ora tutto si è rovesciato. » dichiara nel 1975 Pier Paolo Pasolini.

Fondamento essenziale che percepiamo immergendoci nella mostra fotografica di Marialba Russo, Cult Fiction (dall’8 maggio al 6 giugno 2021), a cura di Cristiana Perrella al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Con Cult Fiction, Marialba Russo espone per la prima volta la serie fotografica, con più di 60 scatti, dedicata ai manifesti di film a luci rosse affissi sui muri delle strade di Napoli e Aversa (CE) tra marzo 1978 e dicembre 1980: gli anni dell’apertura, nel nostro Paese, delle prime sale cinematografiche specializzate e del consequenziale boom del genere. Le sale cinematografiche a luci rosse, in quegli anni, narrano un avvenimento originale innanzitutto per l’aspetto palesemente pubblico e non più celato. La mostra sottolinea un cinema tutto al maschile, che ritrae nello spazio pubblico il corpo della donna attraverso manifesti bizzarri e titoli pressoché comici: Pornowest, L’allenatrice sexy, Profondo porno, Sexy simphony.

Cristiana Perrella, curatrice di Cult Fiction, rievoca metaforicamente nell’installazione, intensa e incisiva, lo spazio urbano entro cui muoversi appassionatamente, riconsegnando in pieno la potenza di un lavoro che mette in risalto da una parte la spinta alla liberazione sessuale di quegli anni, dall’altra la raffigurazione del corpo della donna fortemente mercificato. Alla mostra si unisce la pubblicazione del volume di Marialba Russo, Public Sex (Nero Editions, 2021), che raccoglie il progetto Cult Fiction con gli scatti e gli scritti di Goffredo Fofi ed Elisa Cuter. Marialba Russo ha documentato con sguardo antropologico la rivoluzione culturale, politica e sociale degli anni Settanta. Una rivolta che ha posto la rappresentazione esplicita dei corpi e della sessualità al centro di un nuovo mercato e che inequivocabilmente ha favorito l’incremento di un «cinema di genere». Quest’ultimo manifesta ipocrisie e arcaismi della società italiana, ma non scardina i tradizionali legami di potere. Per la Russo la fotografia non rappresenta solo l’aspetto estetico, ma anche e soprattutto quello antropologico.

Per ciò che concerne la mostra, «l’interesse, in questo caso, era quello di indagare su tale rituale tutto maschile del cinema porno» afferma Elisa Cuter, delineando l’impulso dell’artista a «voler fermare i segni di una società che cambia e a interrogarsi su questa fase che inietta nel sistema retrogrado e patriarcale una disponibilità inedita di sesso, con donne disposte a farsi filmare, a farsi guardare, ma anche a partecipare a una rivoluzione dei costumi in atto». Secondo Pasolini, la libertà e la riproduzione dei corpi avrebbero schiuso il passaggio a un’ulteriore avanzata del neocapitalismo. L’erotismo, il coito, i sessi mostrati vengono fatti propri dal nuovo potere consumistico, che ha incoraggiato un potere ancora più pervasivo e oppressivo; un «nuovo fascismo» capace di mercificare e assoggettare, mediante i costumi e i riti del consumo, quella forza vitale che fino a quel momento era parsa irriducibile e intrinsecamente oppositiva. Inoltre, asserisce che i processi di emancipazione hanno generato solo una falsa tolleranza di cui beneficia il potere capitalistico. Quella del nuovo potere sarebbe, infatti, una strategia inclusiva e allo stesso tempo repressiva, ovvero capace di assorbire e metabolizzare le forme di opposizione per depotenziarle, sino a neutralizzarle del tutto. «Marialba Russo il movimento femminista di quegli anni l’ha vissuto attraverso il suo lavoro.

Il movimento contribuiva a creare lo spazio necessario a cambiare la mentalità, a consentire che per una donna fosse possibile realizzarsi attraverso il suo lavoro» sostiene Elisa Cuter. Cult Fiction è un tragitto nella memoria filmica perversa e maniacale, che non ha significato una liberazione sessuale, ma una mercificazione erotica del corpo femminile. Alla luce delle ulteriori mutazioni riscontrate nel nostro Paese, è difficile confutare l’analisi di Pasolini. Ciò che rimane svela che l’Italia ha concretamente subìto una trasformazione antropologica che ha modificato il paesaggio, la lingua, e sottomesso le classi popolari e i loro desideri. «Insomma, è ora di affrontare il problema: a cosa mi conduce l’abiura dalla Trilogia? Le amate facce di ieri cominciano a ingiallire. Mi è davanti – pian piano senza più alternative – il presente. Riadatto il mio impegno ad una maggiore leggibilità (Salò?)» garantisce Pier Paolo Pasolini.