Deve essere stato il ricorso al Tar presentato dai legali del vicebrigadiere Francesco Tedesco – il carabiniere che ha denunciato i suoi due colleghi e co-imputati nel processo bis, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, di aver pestato violentemente Stefano Cucchi subito dopo averlo arrestato – a convincere l’Arma che era giunto il momento di sospendere il provvedimento disciplinare di Stato emesso nei confronti del testimone chiave. Provvedimento che avrebbe potuto portare alla destituzione e al licenziamento del carabiniere, e che è stato notificato a Tedesco nello stesso giorno in cui si era presentato davanti ai magistrati per raccontare quel che sapeva delle violenze e del depistaggio.

«Ricordo perfettamente il giorno in cui il signor Tedesco è arrivato da noi per essere interrogato – ha raccontato ieri in aula il pm Giovanni Musarò chiedendo l’acquisizione degli atti -: continuava a ricevere telefonate perché l’Arma doveva notificargli con urgenza, chissà perché proprio quel giorno, l’avvio dell’inchiesta disciplinare». La richiesta da parte del militare di sospensione del procedimento, in attesa della sentenza penale, era stata rigettata. Fino a che, il 21 novembre scorso, gli avvocati Eugenio Pini e Francesco Petrelli, che difendono il carabiniere “pentito”, hanno presentato ricorso al Tar. Immediatamente, il giorno dopo, l’Arma ha sospeso il provvedimento.

La Corte d’Assise (composta da 13 giudici popolari, 10 donne e tre uomini, e due magistrati) ha però rigettato la richiesta del pm di acquisire agli atti del processo la cospicua documentazione relativa al provvedimento disciplinare, rinviando l’eventuale ingresso del fascicolo a dopo l’esame dell’imputato. La richiesta è stata condivisa dalle parti civili e dalla difesa di Tedesco, ma osteggiata dai difensori degli altri carabinieri imputati, malgrado – stando a quanto riferito al manifesto dall’avvocata Maria Lampitella, che difende D’Alessandro – il procedimento disciplinare sia stato «avviato, e poi sospeso una settimana fa, anche per gli altri due imputati accusati di omicidio preterintenzionale». Ma da parte loro non c’è stato alcun ricorso al Tar, «perché non ci è arrivata la notifica di rigetto della richiesta di sospensiva», assicura l’avv. Lampitella.

Il provvedimento dunque sembra aver avuto un effetto simil «intimidatorio» (come è stato definito dalle parti civili) solo per il vicebrigadiere Tedesco che ha denunciato i suoi due colleghi e la sparizione, dagli archivi della caserma Appia, della sua notazione di servizio redatta il 22 ottobre 2009, appena seppe della morte di Stefano Cucchi.

Stefano Cucchi

Morte che non è da ritenersi dovuta all’epilessia, malattia di cui il giovane geometra romano soffriva ma che è stata esclusa dalle cause possibili del decesso dal neuropsichiatra Federico Vigevano, consulente tecnico della procura che ieri in aula ha illustrato i risultati dello studio. Un punto di vista sostanzialmente condiviso anche dal neurologo e psichiatra prof. Bruno Iandolo, che aveva avuto in cura Cucchi e che lo ha definito «un paziente attento e scrupoloso, e soprattutto molto seguito dal padre che lo accompagnava sempre». Di sicuro, ha inoltre aggiunto il prof. Vigevano – contraddicendo i periti nominati dal gip nella fase delle indagini, che nel corso dell’incidente probatorio sostennero l’impossibilità di risalire a una causa certa di morte, propendendo però per una crisi epilettica che avrebbe colpito nel sonno Stefano – è emerso un «disturbo post-traumatico da stress durante la degenza in ospedale» e «un atteggiamento di chiusura del paziente sul piano psicologico che rientra nei sintomi dei disturbi post-traumatici».

E sì, perché Stefano Cucchi era un giovane fragile, come è emerso ieri in aula dalle testimonianze di chi lo conosceva meglio. «Aveva scarsa autostima, era un ragazzo speciale ma non sapeva di esserlo», ha raccontato la cugina Viviana ricordando un giorno in cui Stefano si presentò a casa sua un po’ depresso, e poi la cena del suo ultimo compleanno, l’1 ottobre 2009, quando «si era preoccupato di far preparare una torta senza glutine per sua sorella Ilaria».

Un ragazzo fragile dunque ma che ce la stava mettendo tutta per riprendersi dopo il periodo della tossicodipendenza: «Veniva ad allenarsi quasi tutti i giorni in palestra, e lo faceva con una gran foga», malgrado fosse «troppo esile, magro e piccolo di statura per sostenere incontri diretti di kick boxing», ricordano l’istruttore e il proprietario della struttura di Tor Pignattara dove Stefano è entrato l’ultima volta il 15 ottobre 2009 alle 18,59. Una manciata di ore prima di essere arrestato, sei giorni prima di morire.