La conferma che il nome di Stefano Cucchi venne «sbianchettato», e sostituito con un altro, dal registro dei fotosegnalamenti della caserma Casilina, dove avvenne il pestaggio del giovane geometra romano da parte dei carabinieri che lo arrestarono la sera del 15 ottobre 2009, arriva dal processo bis che si celebra davanti alla I Corte d’Assise, a Roma, diventato ormai uno spaccato sul modus operandi dell’Arma dei carabinieri grazie all’attività investigativa sui tentativi di insabbiamento e depistaggio coordinata dal pm Giovanni Musarò.

La riprova è arrivata dal maggiore Pantaleone Grimaldi, che di quella caserma fu comandante dal 2014 al 2016, nell’udienza di ieri, nella quale hanno testimoniato anche alcuni frequentatori della palestra dove Cucchi si allenava «regolarmente, con costanza, passione e grande intensità» malgrado fosse «magro e di bassa statura», e un agente di polizia penitenziaria che vide Stefano in una cella del tribunale, in attesa di comparire davanti al Gip, «con il volto tumefatto ed evidenti segni marrone scuro attorno agli occhi».

Grimaldi ha ricordato di essere stato contattato nel novembre 2015 dall’allora Comandante del Nucleo operativo, colonnello Lorenzo Sabatino, che lo avvisava dell’imminente visita del capitano Tiziano Testarmata (ora indagato per favoreggiamento) volta ad acquisire i documenti contenuti nel fascicolo Cucchi, chiuso a chiave in un armadio della caserma.

Fu Testarmata ad accorgersi dello sbianchettamento di tutti i campi relativi ad un fotosegnalamento avvenuto nello stesso giorno in cui venne arrestato Cucchi. «Questo modo di correggere un eventuale errore è vietato e comporta un procedimento disciplinare – riferisce Grimaldi – per questo suggerii a Testarmata di sequestrare il registro e acquisirne l’originale, invece delle fotocopie. Ma lui si allontanò per consultarsi con qualcuno e poi non accolse il mio invito». Davanti agli inquirenti che lo interrogarono, Grimaldi aveva riferito di essersi arrabbiato con Testarmata, ma ieri ha rettificato: «Mi fidavo completamente di lui, credevo lo avrebbe fatto in un secondo momento».

Ma il pm Musarò, che è riuscito ad acquisire il documento originale senza aver mai ottenuto il nome di chi fece materialmente il fotosegnalamento di Cucchi e neppure dell’uomo arrestato il cui nome (straniero) è sovrapposto a quello di Stefano, lo incalza: «Quando in procura abbiamo visto quel foglio, abbiamo fatto la prima cosa che tutti farebbero: guardare in controluce attraverso lo sbianchettamento. Cosa che non si poteva fare con la fotocopia. Ed è apparso subito, evidente, il nome di Stefano Cucchi. Lei, o il capitano Testarmata, non avete pensato a fare subito questa verifica?». «No», è la risposta del maggiore Grimaldi. Elementare, Watson!