Il tentativo di insabbiamento della verità e di depistaggio delle indagini sulla morte di Stefano Cucchi – riuscito per molti anni – emerge ogni volta più nitido, man mano che avanza l’inchiesta integrativa al processo bis aperta dal pm Giovanni Musarò e che cresce il relativo faldone con prove e testimonianze portate davanti alla I Corte d’Assise di Roma. Tentativi mai interrotti, che continuano a tutt’oggi, come è emerso durante l’udienza di ieri e in particolare come confermato dal capo della Squadra mobile di Roma, Luigi Silipo, che conduce le indagini su questo secondo filone di indagine.

«STEFANO CUCCHI NON VOLEVA stare nelle celle di sicurezza perché aveva paura di essere picchiato di nuovo», avrebbe ammesso il maresciallo Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione dei carabinieri di Tor Sapienza, in una delle intercettazioni della polizia riferite da Silipo. Colombo Labriola è lo stesso che in altre telefonate ascoltate dagli inquirenti commentava con l’appuntato Gianluca Colicchio l’iscrizione sul registro degli indagati appena ricevuta, e ricostruiva il destino dei falsi verbali prodotti. A conferma del fatto che molti, all’interno della catena di comando dell’Arma, sapessero del pestaggio subito dal giovane geometra romano – arrestato per droga il 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo nel reparto protetto dell’ospedale Pertini – e si mossero per mettere tutto a tacere.

E ieri in aula a riferire di un’altra riunione al vertice tra carabinieri dedicata alla vicenda è stato il maggiore Emilio Bucceri, a quel tempo comandante della stazione Appia dove Stefano venne condotto per il fotosegnalamento e dove venne picchiato, secondo la testimonianza di Francesco Tedesco, uno dei cinque militari imputati nel processo bis. Bucceri non era in servizio quella sera, sostituito dal suo vice, il maresciallo Roberto Mandolini, altro imputato; nel suo caso con l’accusa di falso e calunnia.

NON SOLO DUNQUE la riunione del 30 ottobre, a ridosso della morte di Cucchi, che si tenne nel comando provinciale di Roma, in Piazza San Lorenzo in Lucina, ma anche un’altra, che si svolse alla Cecchignola il 12 novembre 2009. Anche quest’ultima, come la prima, convocata dall’allora comandante provinciale dell’Arma, il generale Vittorio Tomasone, preoccupato questa volta di quanto stava emergendo sui media in merito al caso dell’allora presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, vittima di un’estorsione da parte di quattro carabinieri che sono stati condannati nel novembre scorso.

«L’unica riunione alla quale ho partecipato fu un briefing indetto dall’allora comandante provinciale in una nostra caserma alla Cecchignola – ha riferito Bucceri – C’erano il comandante provinciale e, scendendo la scala gerarchica, i comandanti di gruppo, quelli di compagnia e quelli delle stazioni. Da poco c’era stato anche l’accadimento Marrazzo, dove erano coinvolti dei carabinieri per una vicenda estorsiva e fu fatto riferimento dal generale Tomasone a questi due fatti e alla gestione del personale».

«STATE ATTENTI AL PERSONALE», disse in quell’occasione Tomasone, secondo quanto riportato dal maggiore. Il pm chiede come mai i vertici dell’Arma concedessero tanta attenzione ai casi Marrazzo e Cucchi. «C’era stata risonanza mediatica, per questo erano interessati», risponde Bucceri. Il comandante della stazione Appia ricorda anche le parole con le quali il suo vice Mandolini tentò di addossare alla Polizia penitenziaria la responsabilità del pestaggio: «Mi disse “glielo l’abbiamo consegnato che era sano…Ci vogliono tirare dentro”».

Ieri avrebbe dovuto testimoniare anche il prof. Carlo Masciocchi che ha firmato la perizia con la quale è stata appurata la frattura «recente» della vertebra L3 sul corpo di Cucchi. Frattura che era stata invece negata e perfino «nascosta», secondo la famiglia di Stefano, nelle precedenti perizie medico legali. Masciocchi non ha potuto essere presente e la sua deposizione è stata rinviata. Ma Ilaria Cucchi e il suo avvocato Fabio Anselmo hanno ricordato anche ieri che i tentativi di «insabbiamento continuano, su tutti i fronti».

«Stanno emergendo fatti inquietanti e gravi che si stanno verificando al di fuori di questo processo. Testimoni che vengono avvicinati, depistaggi che si stanno protraendo nel tempo e continuano mentre è in corso questo procedimento». «Possiamo anche voltarci dall’altra parte – conclude Anselmo – ma esprimo tutto il mio rammarico rispetto alla reiterazione di questi episodi in queste forme illecite e inaccettabili in uno Stato di diritto».