«Questa è l’occasione. Chi sa parli, perché un carabiniere deve rispettare il proprio giuramento. Chi esce da questa regola e viene ritenuto responsabile di gravi fatti non è degno di indossare la divisa. Un carabiniere ha il dovere morale, prima ancora di giuridico, di dire la verità e di dirla subito». È senza precedenti l’appello lanciato ieri dal comandante generale dell’Arma, il generale Giovanni Nistri, intervistato da Bruno Vespa, perché emerga finalmente la verità sulla morte di Stefano Cucchi.

Nistri, che oggi pomeriggio incontrerà la famiglia Cucchi insieme alla ministra della Difesa Elisabetta Trenta, si è detto «lieto» per la denuncia presentata dal vicebrigadiere Francesco Tedesco contro i suoi due colleghi e co-imputati accusati di aver pestato, il 15 ottobre 2009, il giovane geometra romano morto una settimana dopo in ospedale, e contro ignoti per la scomparsa dei verbali di servizio che aveva depositato nella caserma Appia.

«Ha detto la sua verità – ha precisato Nistri – Questo vuol dire che questa verità adesso potrà entrare a pieno titolo nel processo insieme con tutte le altre evenienze che sono state accertate nel frattempo dall’autorità giudiziaria, e dunque questo sarà un passo in più verso una definizione della vicenda». «L’Arma andrà fino in fondo per la parte di sua competenza – ha aggiunto poi il Comandante dell’Arma – Siamo lieti che l’autorità giudiziaria stia procedendo perché infine si avrà una perimetrazione completa delle responsabilità. Che si tratti di responsabilità commissive piuttosto che di responsabilità omissiva nei controlli, eventualmente, piuttosto che in altre ipotesi anche diciamo di disattenzione o di agevolazione».

Un appello tanto più importante perché arriva in un momento molto delicato. Ieri l’avvocato difensore del maresciallo Mandolini (imputato, allora comandante della caserma Appia) ha accusato in una lettera i legali di Tedesco di aver stipulato «inconfessabili accordi» tra il loro assistito e il pm.

E sempre ieri l’avvocato Eugenio Pini, uno dei difensori di Tedesco, ha denunciato in Procura di aver ricevuto minacce di morte. «Lei sa chi mi ricorda? Rosario Livatino» (il giudice ucciso dalla mafia, ndr), avrebbe detto un uomo dall’accento siciliano durante una telefonata che potrebbe essere state registrata, e che si è conclusa con un «la seguirò, non solo spiritualmente».