Che succede a Cuba oggi? La domanda che si è posto pubblicamente il noto regista Ernesto Daranas circola ormai in tutta la popolazione e non riguarda solo la libertà di espressione, ma il futuro immediato dell’isola.

Venerdi 11 dicembre il presidente Díaz- Canel ha annunciato che dal 1 gennaio inizierà la profonda riforma monetaria – unificazione delle monete circolanti e del cambio – ed economica – autonomia delle imprese statali, riconoscimento giuridico delle piccole e medie imprese, misure per favoriredegli investimenti esteri, ecc- che dovrà cercare di rilanciare l’economia. In aprile l’VIII Congresso del Pcc ratificherà il rinnovo generazionale: Raúl Castro e i pochi altri dirigenti storici in attività si pensioneranno. Il tutto in piena crisi economica e sanitaria mondiale (con annesse implicazioni geopolitiche) i cui effetti a Cuba sono pesantissimi.

Il presidente e il governo di Cuba accusano gli Stati uniti di voler sfruttare le conseguenze di tale crisi per provocare un golpe blando nell’isola, anche con azioni di terrorismo. In sostanza, l’Amministrazione Trump sarebbe impegnata a provocare una sorta di “rivoluzione colorata” per tentare di abbattere il governo socialista e comunque per lasciare una mela cubana avvelenata al presidente Biden, quando il 20 gennaio assumerà la carica. Infatti, dal trionfo della Rivoluzione guidata da Fidel Castro nel 1959, la questione di Cuba è vista e trattata negli Usa come un problema di sicurezza interna.

Nel mirino del governo e del Partito comunista cubano è soprattutto un piccolo gruppo di giovani artisti  – peraltro  sconosciuti ai più-  riuniti nel Movimento San Isidro (MSI) accusato di voler accendere la miccia di un estallido (esplosione) sociale in collusione e per conto dei falchi di Trump e di organizzazioni anticastriste di Miami.

Il gruppo è stato creato nel 2018 da Luis Manuel Otero Alcántara un performer noto (alla minoranza di chi nell’isola fa uso quotidiano di internet) per aver passato un mese avvolto nella bandiera cubana nelle sue attività quotidiane – bisogni corporali compresi. Una critica metaforica «al regime», accompagnata da un esplicito riferimento al presidente Trump come faro politico.

A metà novembre alcuni artisti del gruppo di San Isidro hanno inziato uno sciopero della fame per protestare contro la condanna a 8 mesi di carcere per aver insultato un poliziotto inflitta con un processo rapido a Denis Solís, un rapero che si riconosce nel MSI.  Solís non ha inoltrato un appello contro la sentenza.

La sera del 26 novembre la sede del MSI, dove erano in sciopero della fame una diecina di artisti assistiti da altri attivisti  è stata sgombrata dalla polizia per ordine delle autorità sanitarie: un membro del gruppo appena arrivato dal Miami li aveva raggiunti senza rispettare i dieci giorni di quarantena. E dunque «rischiando di accendere un focolaio di contagio». Contro lo sgombero, visto come un atto di censura e repressione politica con la scusa di una misura sanitaria,  alcune centinaia di artisti e giovani si era radunato il 27 novembre di fronte al Ministero della Cultura, chiedendo di riunirsi col ministro e di discutere con lui sul diritto di libera espressione artistica nell’isola.

 

L’Avana, solidarietà agli artisti in sciopero della fame  (foto Ap)

 

L’iniziativa – ormai  battezzata 27N- ha costituito la manifestazione spontanea più importante degli ultimi decenni.  Una trentina di persone delegate dai manifestanti sono state ricevute dal viceministro Fernando Rojas, presente in sede che ha ascoltato le loro richieste e proposto loro di stilare un documento che sarebbe servito da base per una riunione col ministro.

Il documento redatto e presentato da un gruppo ristretto di manifestanti richiedeva che all’incontro fossero presenti sia il presidente della Repubblica, sia un rappresentante del ministro dell’Interno in quanto, di fatto,  il problema vero era la libertà di espressione – e dunque di organizzazione – politica. Ovviamente di dissenso o opposizione.

La reazione del governo è stata durissima. Il presidente Díaz-Canel, partecipando a una manifestazione in un parco centrale dell’Avana in favore del governo socialista e contro «le manovre controrivoluzionarie» dirette dagli Usa, ha ripetuto la linea esposta da Fidel negli anni Sessanta del secolo scorso, nel suo famoso incontro con gli intellettuali cubani: «All’interno della Rivoluzione tutto, contro la Rivoluzione niente». In sostanza le critiche e il dialogo sono ammesse e utili solo per «migliorare» il socialismo cubano.

In un clima di guerra fredda (e, almeno per Cuba, anche “calda”, come aveva dimostrato lo sbarco di contras organizzati dalla Cia nella Baia dei porci nel 1961), per Fidel (che aveva studiato in un collegio gesuita) valeva la massima di Ignacio de Loyola: «In una fortezza assediata, ogni dissenso è un tradimento».

A cinquant’anni di distanza per il governo cubano la situazione non è cambiata. Nel corso dell’ultimo anno sono stati più di 150 le misure e i decreti del presidente Trump per strangolare l’economia cubana e indurre un cambio violento del governo socialista. E in piena pandemia, quando gran parte delle risorse di Cuba sono state impegnate per controllare il Covid-19 e salvare vite. L’esatto contrario delle scelte di Trump che hanno causato, o concorso,  all’attuale strage da Covid-19 negli Usa.

Non solo, i mass media statali hanno rivelato che negli ultimi tre anni vi è stata nell’isola una recrudescenza di attività terroristiche –compreso il deragliamento di un treno merci – organizzate da gruppi anticastristi della Florida assolutamente noti – anche per le denunce del governo cubano – alle autorità degli Usa. Una serie di trasmissioni in tv hanno messo in relazione membri del gruppo MSI  con elementi anticastristi e terroristi della Florida, altri sono stati accusati di essere nel libro paga di organizzazioni statunitensi. Accuse pesantissime, senza diritto di replica nei mass media statali.

Se il panorama di aggressione degli Usa a Cuba e al suo «regime» socialista non è cambiato, anzi con Trump si è aggravato, molto è cambiato nella società civile cubana con internet,  e la possibilità di informarsi e informare mediante piattaforme indipendenti, pur nella giungla di fake news,  di disinformazione o di informazione effettivamente «mercenaria», ovvero finanziata direttamente dagli Usa.

Tra il bianco e il nero si è aperto uno spettro di grigi. Ma per il vertice politico cubano rimane la discriminante di Fidel. Su questa base, il ministro della Cultura ha in effetti iniziato un dialogo sulla libertà di espressione con artisti, anche indipendenti e critici,  ma non schierati contro il socialismo. Sono stati esclusi (e minacciati e posti sotto sorveglianza)  quelli ritenuti «sul libro paga» di Washington o legati a anticastristi della Florida. Tutti «nemici della rivoluzione».

Secondo Harold Cárdenas Lema, professore universitario, analista e fondatore del blog La joven Cuba,  però si è rotto «il contratto sociale» per cui «la gran maggioranza della popolazione cubana chiudeva gli occhi di fronte alla repressione dell’opposizione e del dissenso ritenuti annessionisti o nel libro paga degli Usa». La rottura sarebbe avvenuta con la repressione del MSI, come ha dimostrato la mobilitazione di centinaia di artisti e intellettuali, giovani e non giovani. La maggior parte di loro non condivide – o apertamente condanna –  le posizioni politiche filo Trump del Msi, ma rivendica la libertà di espressione. E reclama l’apertura di un dialogo tra cubani. «La patria non è il governo» afferma il regista Daranas. «Il fatto di non avere le stesse idee, in arte e in politica, non è una condizione sine qua non per rifiutare il dialogo».

Secondo Cárdenas, questo irrigidimento su posizioni «conservatrici» e «intransigenti» del vertice politico cubano è un altro effetto nefasto della politica di Trump contro il governo dell’Avana. In questo quadro di polarizzazione, afferma, per dare inizio a un dialogo è necessario fare una distinzione tra i cubani, anche dell’altra sponda del golfo della Florida,  che hanno diritto di critica, dissenso e anche opposizione e chi è invece è espressione – diretta e indiretta – di interessi stranieri, il cui unico scopo è abbattere il governo socialista cubano costi quello che costi in sofferenze della popolazione.

Il giornalista (premio Pulitzer) Tracey Eaton ha documentato nel suo blog Cuba money project il fiume di dollari versato da Dipartimento di Stato, Usaid e National Endowment for Democracy  per alimentare dissenso e opposizione a Cuba. Cárdenas ha messo in chiaro che molti stati, compresi gli Usa, considerano illegali forze organizzate e finanziate dall’estero (per gli Usa, Russia o Cina) per influire in politica interna.

In questo quadro, le posizioni del governo e di una parte del dissenso critico nella società civile e dell’opposizione non sono inconciliabili. «In passato i comunisti cubani hanno partecipato assieme a altre forze politiche nella redazione di una Costituzione avanzata per il suo tempo, dunque vi è una evidenza storica che è posssibile una coesistenza» tra Pc e altre forze democratiche, afferma Cárdenas. In favore del dialogo e contro «la demonizzazione» di ogni forma del dissenso si sono schierati anche Silvio Rodriguez, il famoso trovador cubano noto per il suo appoggio al governo socialista e anche due associazioni di giovani comunisti e artisti dell’Isola dei Pini, una provincia di Cuba.

Il problema, afferma Cárdenas,  è che un processo di confronto interno a Cuba «richiede che gli Usa smettano i programmi volti al “cambio di regime” a Cuba». Per questo gli occhi sono puntati sulla prossima Amministrazione Biden che si insedierà – a meno di nuovi colpi di coda di Trump – il prossimo 21 gennaio. Quando il nuovo ordinamento monetario e la riforma economica saranno in vigore.

Contando i pesos (Ap)