Il governo del presidente Raul Castro ha compiuto un altro passo nella riforma economica (una cauta liberalizzazione) decisa tre anni fa.

L’Assemblea nazionale del potere popolare (Parlamento) ha infatti approvato all’unanimità sabato scorso la nuova legge sugli investimenti stranieri che toglie molti – ma non tutti – i vincoli posti dalla precedente legge (del 1995) sull’ingresso di capitali esteri.

Perché sia «prospero e sostenibile», il socialismo cubano ha bisogno di incentivare gli investimenti stranieri di capitali e di tecnologia, ha affermato il ministro del Commercio degli investimenti esteri, Rodrigo Malmierca. Da parte sua il vice presidente del Consiglio di Stato e responsabile dell’attuazione delle riforme, Marino Murillo, ha affermato che l’obiettivo della legge è arrivare a un aumento del 30% dei capitali esteri investiti, per un totale di più di due miliardi di dollari. Cifra che dovrebbe permettere a Cuba una crescita attorno al 7% l’anno.

Per ottenere credibilità sul mercato internazionale dei capitali, il governo cubano autorizzerà l’ingresso di investitori stranieri in tutti i settori dell’economia, fatta eccezione per quelli «strategici», scuola, salute e Forze armate. La nuova legge considera investitore straniero ogni persona fisica o giuridica con domicilio e capitale all’estero, includendo cittadini cubani residenti in altri paesi e fornisce una serie di garanzie sia giuridiche – protezione degli investimenti e dei beni immobiliari che non potranno essere espropriati – ed economiche – trasferimento all’estero degli utili in moneta convertibile, detassazione per i primi otto anni per le imprese miste.

Seppur in modo non del tutto chiaro la nuova legge dunque permette di investire nell’isola anche ai nordamericani di origine cubana – il cosidetto «esilio» – ai quali si estendono le garanzie di protezione anche contro l’embargo unilaterale decretato da più di cinquant’anni dagli Usa con lo scopo di «abbattere il castrismo». In particolare le protezioni si riferiscono alla legge Torricelli e Helms Burton (del 1992 e riconfermata dall’amministazione Obama nel 2013) che prevede sanzioni contro le imprese internazionali che investono in un paese posto nella black list di Washington. Il particolare, tale legge impedisce ai cittadini statunitensi, dunque anche ai cubano-americani, di investire a Cuba. Quello che è chiaro, però, è che non tutti i cubano-americani avranno porte aperte, lo ha detto chiaramente il ministro Malmierca: potranno investire solo color «che non abbiano posizioni avverse al processo rivoluzionario e che non siano legate alla mafia terrorista di Miami».

La nuova legge entrerà in vigore tra 90 giorni. In queste ore è oggetto di esame da parte di esperti e analisti. In generale viene considerata un passo avanti verso un’economia meno ideologicizzata e strettamente imbrigliata dalla burocrazia di stato, una misura decisa nell’ambito di una volontà riformatrice, ma anche resa necessaria data la drammaticità della crisi economica che investe l’isola.

Vi sono però zone d’ombra che sollevano dubbi sulla reale volontà di flessibilizzare l’economia e sul reale grado di apertura a imprese a totale capitale estero, specialmente in settori come le costruzioni, i trasporti, le infrastrutture. Inoltre la nuova legge non permette agli investitori di contrattare direttamente mano d’opera cubana: le assunzioni saranno effettuate da una speciale entidad empleadora statale, fatto che alimenta i timori che rimangano le pastoie burocratiche quasi impenetrabili che hanno fino a oggi frenato gli investitori esteri.