«È la crisi più pericolosa dalla caduta dell’Urss» sostiene lo storico López Oliva. Lunedì il segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato l’ultima delle quasi 190 sanzioni decise da Trump allo scopo dichiarato di strangolare l’economia di Cuba e abbattere il governo socialista.

Si tratta di misure contro la compagnia cubana Corporación Panamericana che era servita finora ad aggirare il blocco navale decretato lo scorso luglio per cercare di impedire l’arrivo a Cuba di greggio venezuelano. Compagnia che – secondo quanto dichiarato dal presidente cubano Miguel Díaz Canel – aveva permesso di garantire rifornimenti di petrolio all’isola fino all’inizio del prossimo anno.

TORNA DUNQUE la minaccia di una nuova crisi energetica quando permangono gli effetti di quella precedente. Non solo nel settore dei trasporti. Nei supermercati si allineano scaffali semivuoti o che mostrano una fila di prodotti generalmente poco appetiti. Non va meglio nei mercati agropecuari. «Está pelao» – vuoto in gergo cubano – è il commento che ricorre. Patate. limoni, pomodori sono prodotti che si incontrano solo nei mercati privati e a prezzi inaffrontabili per buona parte della popolazione. In questi giorni salgono le lamentele per «la scomparsa» dei pomodori e dei loro derivati, salsa e passata, necessari per dar sapore al cibo quotidiano. Nell’ex diplomarket del Vedado, quartiere centrale dell’Avana, i pomodori migliori costano 25 pesos (quasi un euro) la libbra. Più o meno quanto guadagna in un giorno un normale lavoratore. Mancanza di semi e soprattutto di fertilizzanti sono le cause indicate per tale scarsezza – secondo fonti ufficiose la produzione di pomodori sarebbe meno della metà di quanto previsto dal piano governativo.

DUNQUE, COLPA dell’embargo ormai diventato una spietata guerra economica con fini politici: impedire che gli «agenti cubani» continuino a tenere in vita il governo venezuelano del presidente Maduro e fomentino rivolte in mezza America latina. Queste le ultime argomentazioni di Pompeo e degli altri falchi dell’Amministrazione Trump, come il senatore Marco Rubio.

«CERTO COLPA dell’embargo, ma non solo». L’economista Omar Everleny Perez afferma che è il sistema produttivo che fa acqua e che le riforme previste da anni su stimolo dell’allora presidente Raúl Castro sono ancora in mezzo al guado. «A Cuba è prevalsa l’idea che è necessario fabbricare unità di produzione per il popolo senza tener sempre in conto il costo di produzione, la riproduzione ampliata o la redditività dei fondi investiti…Alla lunga queste unità assorbono sempre più fondi e non assicurano la produzione necessaria». Una pianificazione eccessivamente centralizzata che «si è convertita in una camicia di forza», una burocrazia costosa e poco produttiva, il sistema di fissazione e controllo centralizzato dei prezzi hanno condotto alla situazione attuale in cui – come afferma il presidente Díaz-Canel – è più facile importare che produrre. Così oggi «Cuba soffre di innumerevoli problemi di mancanza di capitalizzazione delle sue entità». L’isola in quanto investimenti è agli ultimi posti in America latina con «solo il 10% del Pil» afferma Perez.

CHE IL PAESE necessiti non solo di investimenti ma «investimenti efficienti» che «assicurino, dove è possibile, la sostituzione delle importazioni e la capacità di esportazioni che sappiano essere competitive a livello internazionale» è il tema principale sostenuto da Díaz-Canel nell’ultimo Consiglio dei ministri.

«QUALCOSA si è mosso, segno di un cambio di mentalità». L’analista Ricardo Torres si riferisce alla decisione del governo di vendere prodotti assai richiesti dalla popolazione – elettrodomestici, moto elettriche e ricambi di auto e moto – a prezzi capaci di far concorrenza ai privati cittadini che comprano all’estero e rivendono in patria. Gli acquisti si fanno con carte di debito emesse dalle banche (statali) e in moneta liberamente convertibile (soprattutto dollari). In questo modo lo Stato recupera parte della valuta che in precedenza veniva esportata dai privati per comprare tali beni. Non solo, «si tratta di una misura che tenta di risolvere i problemi aumentando la circolazione dei beni e non con controlli dal centro e proibizioni».

DA QUI DUNQUE il «cambio di mentalità». Che però ha i suoi costi. Non necessariamente infatti favorisce il mercato interno, in quanto si rivolge solo a quei settori della società che possiedono valuta. Inoltre è stata introdotta di fatto una nuova moneta, il dollaro della carta di debito, che inizia a circolare assieme alle altre due esistenti, il peso cubano (Cup) e il peso convertibile (Cuc). Visto che «la moneta forte caccia quella debole» la crescente richiesta di dollari ha indebolito il Cuc che formalmente è alla pari col dollaro, ma che en la calle viene cambiato a 1,20 Cuc per dollaro. La caccia alla valuta estera inizia già all’aeroporto: al turista il tassista offre di comprare dollari o euro a prezzo migliore di quello delle case di cambio (Cadeca). Lo stesso fanno sia affittacamere che chiunque abbia qualcosa da vendere. Per questo in rete circola già da giorni la «profezia» che il Cuc abbia i giorni contati e che all’inizio dell’anno verrà eliminato. A circolare nell’isola resterà il Cup, la «moneda nacional».

Si tratta di una misura annunciata già da un paio di anni, ma che comporta problemi (fissazione del tasso di cambio, quantità di inflazione ecc) difficili da risolvere mentre l’isola è sottoposta alla più spietata guerra economica da parte della Casa bianca.