«Se avete bisogno di noi sapete dove trovarci», disse l’ambasciatore di Cuba agli italiani venuti a salutare i medici che se ne andavano. Erano epidemiologi, anestesisti, rianimatori, infermieri… Erano arrivati in Lombardia e in Piemonte nel pieno del Covid, quando a Bergamo si ammucchiavano le bare e lugubri convogli militari andavano e venivano dai crematori.

Lo sappiamo sì, dove trovarli: ben lontani da Ginevra, dove l’Italia ha espresso in modo peculiare la sua riconoscenza votando contro la risoluzione che condanna le sanzioni unilaterali (cioè quelle che affamano Cuba e il Venezuela, impediscono di ricostruire la Siria, strangolano l’Iran eccetera).

Nello stesso giorno in cui Usa Ue e Nato da una parte, e Russia e Cina dall’altra, erano impegnati a sanzionarsi furiosamente l’un l’altro in una riedizione fuori tempo massimo della guerra fredda – ma dovremmo cambiare nome perché guerra non è più quella di Clausewitz, ed è tutto tranne che fredda. A Bruxelles il segretario generale della Nato avvertiva che «Russia e Cina sono gli avversari», il presidente Biden sanzionava la Russia per il tentato omicidio di oppositori e la Ue sanzionava la Cina per l’oppressione dei musulmani uighuri, Mosca e Pechino contro-sanzionavano e alla fine un pugno di politici e funzionari di secondo piano perdeva il diritto di recarsi da un fronte all’altro.

Dei diritti umani non una riga sulle agenzie di stampa occidentali (uscirono invece la Xinhua cinese, la Tass russa, la cubana Prensa Latina… Sul Miami Herald, il quotidiano preferito dei fuoriusciti cubani, uscì l’equilibrato titolo «Ipocrita risoluzione Onu che Venezuela e Cuba spacciano come vittoria»). Una settimana dopo, ieri, il manifesto pubblica una corrispondenza di Roberto Livi dall’Avana che cita quel voto e spiega perché sia ignobile. E finalmente l’Italia ne parla. Il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni definisce il voto «incomprensibile», l’ex deputato M5S Di Battista posta la foto dei medici cubani su Facebook e commenta «bisognerebbe mostrare un po’ di gratitudine», di «ingratitudine e incoerenza del governo» parla il segretario dei Comunisti italiani Marco Rizzo, si infuria la «cubana onoraria» Fiorella Mannoia: «L’embargo lo paga il popolo, sempre e in ogni dove, vergogna!». Se ne accorge Repubblica, così come l’Ansa, si scalda il web…

Il Consiglio per i diritti umani (Hcr) è un organismo dell’Onu composto da 47 stati eletti ogni tre anni. Il 23 marzo ha votato un pacco di trenta risoluzioni tra cui quella contro le unilateral coercitive measures – in italiano semplificato, sanzioni. Su proposta della Cina, di Azerbaigian a nome dei Non allineati, della Palestina che esiste solo all’Onu, il documento passa con 30 voti a favore, 2 astenuti e 15 contro. Tra i no l’Italia e tutti i paesi europei dell’Hcr: Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Polonia, più il Brasile di Bolsonaro, il Giappone…

È un voto pavido, quello della “nuova” Italia di Mario Draghi – ma l’Italia di “Giuseppi” Conte avrebbe fatto altro? Un voto vetero-atlantico senza nemmeno l’atlantista alfa, gli Stati uniti, che non sono nell’Hcr: ne volle uscire Donald Trump nel 2018 inviando l’ambasciatrice e superfalco Nikki Haley a scaricare «quel pozzo nero di ipocrisia».

È un voto subalterno, che salta a pie pari ogni rapporto sugli effetti delle sanzioni. Come quello della special rapporteur dell’Hcr, la bielorussa Alena Douhan, che nell’anno del Covid ha studiato sanzioni e paesi e concluso che le sanzioni uccidono su larga scala. Il suo rapporto sul Venezuela è da brividi, come quello meno noto sugli Usa. Dagli anni Settanta in cui Washington riformò la legge sul «Commercio con il nemico» del 1917, Washington ha cambiato nemico 70 volte, e quattro paesi (Cuba, Venezuela, Iran e Siria) detengono decenni di coercive measures emergenziali americane.

Ma l’emergenza, quando è eterna, si chiama persecuzione.