Un primo maggio militante, aveva chiesto ( e programmato) il governo. E lo sforzo organizzativo ha avuto successo. Seicentomila persone hanno sfilato il 1° maggio nella Piazza della Rivoluzione all’Avana e altre centinaia di migliaia nel resto dell’isola. Nella capitale, ha presenziato – senza però pronunciare un discorso – il presidente Raúl Castro, in uniforme verde olivo. Lo sguardo sulla folla che gremiva la piazza e il viale di accesso era, come spesso in queste occasioni, impressionante. Ma di sicuro, il vertice politico cubano guardava ben più lontano. Al Venezuela. Dove ormai lo scontro tra il presidente Nicolás Maduro e l’opposizione si è trasferito da settimane nelle strade, con la ripresa delle guarimbas sempre più violente – secondo la Bbc le vittime sono una ventina – e una militarizzazione della difesa della rivoluzione bolivariana, inziata da Hugo Chavez.

L’APPELLO a cercare una mediazione politica rivolto da papa Francesco – appoggiato da otto paesi latinoamericani e da varie personalità politiche come l’ex premier spagnolo Zapatero – sembra non trovare orecchie politiche disposte a tradurlo in azione. Maduro ha deciso di convocare una Costituente popolare, che di fatto dovrà mettere in cantina il Parlamento in mano all’opposizione, e Henrique Capriles, a nome della maggioranza della Tavola dell’unità democratica (Mud) – ha risposto chiamando la popolazione a continuare la lotta nelle strade.

IN QUESTI TERMINI pare bruciato qualsiasi tentativo di trovare una soluzione, magari «sacrificando» Maduro e sostituendolo con qualche altro dirigente bolivariano, Jorge Rodriguez, Diosdato Cabello o Tarek el Aissami. Cuba rappresenta il maggior alleato del Venezuela bolivariano e dunque anche una probabile vittima collaterale nel caso che quello che Maduro definisce «un complotto imperialista» per mettere fine alla rivoluzione bolivariana abbia successo. Le conseguenze politiche ed economiche per l’Avana sarebbero quasi catastrofiche. Secondo l’economista Mesa-Lago il Venezuela – con l’invio di 30 milioni di barili di greggio l’anno (circa il 33% del consumo dell’isola) e il pagamento delle varie misiones cubane (valutate dai 5 ai 7 miliardi di dollari l’anno) – contribuisce al 21% del Pil di Cuba. Pochi punti in meno di quello che rappresentavano gli aiuti economici forniti dall’ex Unione sovietica. La cui implosione, alla fine del 1991, aveva innescato nell’isola il (mai dimenticato) periodo especial, una vera e propria scuola di sopravvivenza per milioni di cubani.

MA RAÚL e il vertice del partito-stato comunista guardano con grande preoccupazione anche alle conseguenze politiche: un crollo del governo Maduro costituirebbe un colpo mortale per il «socialismo del Secolo XXI» concepito da Chavez e Fidel. Dopo il riflusso neoliberista dell’Argentina del presidente Macri e dolpo il golpe parlamentare di Temer in Brasile e con la prospettiva di una vittoria della destra anche in Cile, l’elezione a presidente di Lenin Moreno in Ecuador non sarebbe sufficiente a tenere in piedi uno schieramento progressista in America Latina. E probabilmente sarebbe la fine anche del Foro di San Paolo, «creato» nel 1990 da Fidel e Lula per innescare un movimento di socializzazione di tutto il subcontinente.

L’IMPATTO della crisi in Venezuela è già forte a Cuba. Dall’anno scorso l’isola è in stagnazione (a mala pena una crecita dell’1%) per la prima volta negli ultimi 25 anni. La riduzione (di circa il 40%) dell’invio di greggio decisa l’anno scorso da Caracas e la scarsità di liquidità ( causata dal pagamento di una grossa tranche al Club di Parigi dei creditori) ha causato problemi di riforimento di carburante: la benzina super (especial) è ormai riservata quasi esclusivamente alle auto affittate dai turisti e anche rifornirsi di benzina regular può essere un problema. Non solo, da settimane i negozi di alimentari registrano una preoccupante scarsezza di beni essenziali. Nei supermercati si allineano scaffali riempiti alla meglio con un solo prodotto o semivuoti. I prezzi sono in crescita anche per prodotti agricoli assai popolari, come la malanga (passata da 5 a 10 pesos la libbra) i pomodori, le cipolle. Mentre le patate si possono comprare (e in piccola quantità) solo con la libreta, che garantisce una serie di prodotti a prezzi sovvenzionati dallo Stato. Le prospettive non sono rosee. Il ministro dell’economia Ricardo Cabrisas ha annunciato per l’anno prossimo (il terzo consecutivo) una riduzione delle spese del governo.

I PROSSIMI MESI saranno cruciali per il futuro dell’isola: non solo per incrementare le riforme economiche volute dal governo ma anche per preparare il cambio generazionale al vertice dello Stato – Raùl ha programmato di lasciare la presidenza alla fine di febbraio dell’anno prossimo – e riforme politico-costituzionali (anche se non sono chiari i tempi). La mobilitazione per festeggiare il primo maggio vuol essere dunque un segnale – rivolto soprattutto al presidente americano Donald Trump – che il governo conserva il sostegno del popolo cubano.