L’«indecenza» di Monaco contro la resistenza di Berlino. Il governatore della Baviera Horst Seehofer (Csu) contro il sindaco della capitale Michael Müller (Spd). La xenofobia dei conservatori contro la tolleranza dei progressisti anche nella paura. Mentre la Cdu, per una volta, non sta a guardare e prende le distanze dai “cugini” cristiano-sociali facendo quadrato intorno alla cancelliera Merkel, accusata non troppo velatamente di colposità nell’attentato che ha squassato la capitale.

Un botta e risposta a distanza sintomatico delle tensioni politiche nella Bundesrepublik dopo l’ennesimo attacco dell’Isis: inizia 14 ore dopo il massacro di Charlottenburg, quando il terrorista era ancora pakistano, l’autista straniero non ancora un eroe e la conta delle vittime neppure conclusa. Il momento giusto, cioè sbagliato. Da Monaco il leader Csu spara ad alzo zero sulla «politica di benvenuto» di Mutti, da sempre più nemica che alleata. Benzina sul fuoco così coniugata: «Siamo noi le vittime; tutta la popolazione tedesca è colpevolmente influenzata dalla nostra politica sull’immigrazione e di sicurezza che va ri-regolata».

Le parole di Seehofer deflagrano a Berlino dove non solo Merkel è impegnata a gettare acqua sull’incendio, ribadendo il sostegno del governo a «tutti coloro che si vogliono integrare nel nostro Paese» e appellandosi all’unità, alla libertà e soprattutto alla calma. Dichiarazione inopportuna e fuori tempo in tutti i sensi, che non va giù al sindaco della Città-Stato, ancora piegato sui morti e i feriti e preoccupato per i dispersi.

«Le frasi che sento giungere da Monaco sono indecenti. Vorrei ricordare che quest’estate abbiamo subito diversi attacchi terroristici in Baviera: se fosse così semplice fornire risposte, magari adottando due e tre facili misure, allora Herr Seehofer avrebbe potuto farlo» è la ferma e piccata risposta di Müller, per niente disposto a «cedere alla paura né a chiedere ai berlinesi di chiudersi in casa».

Ma l’uscita di Seehofer scatena la bufera anche tra le fila degli alleati Cdu, che difendono a spada tratta la cancelliera, richiamando all’ordine i doveri istituzionali del leader bavarese, uscito fin troppo dalle righe. «Tirare conclusioni affrettate, con i fatti ancora da chiarire e le indagini di polizia tuttora in corso, non è un approccio adeguato per un politico. E se l’attentatore fosse tedesco? Oppure provenisse da un Paese confinante?» domanda provocatoriamente Armin Laschet, vicepresidente Cdu.

A chiudere l’”incidente” non basta la toppa tardiva di Seehofer o la preghiera cattolica per le vittime della strage di Berlino. «Non ho detto quelle parole per ottenere consenso a buon mercato oppure per raccogliere punti sul ticket del populismo. Anche se verrà dimostrato che il colpevole non è un immigrato bisogna comunque lavorare per garantire la massima sicurezza» precisa, ecumenicamente, il leader cristiano-sociale.

Mentre la deputata dei Verdi Beate Walter Rosenheim (bavarese Doc) bolla la sparata del “suo” primo ministro come irresponsabile: «Con tali considerazioni, che incitano a paura e rifiuto, il presidente Seehofer è fuori dalla strada democratica». Oltre che dalla realtà.