Negli stessi minuti in cui Luca Palamara veniva ascoltato al Csm, a pochi chilometri di distanza Magistratura democratica – assieme a tante altre componenti del mondo della giustizia – discuteva delle conseguenze dell’inchiesta. Conseguenze nefaste che rischiano di dare il pretesto al governo per ridurre l’autonomia delle toghe e ricondurla sotto il controllo politico. E invece la «reazione all’attacco» invocata da tutti porta a proporre che «l’unica riforma della giustizia è attuare il modello costituzionale, giù le mani dalla magistratura» nel ricordo comune dell’esempio di Salvatore Senese.

Nel convegno organizzato anche dai Giuristi democratici (Gd) e dal Coordinamento per la democrazia costituzionale (Cdc) la relazione è stata della segretaria di Md Maria Rosaria Guglielmi, partita da un’amara constatazione: «Dopo questa inchiesta non sarà facile ricostruire la credibilità del sistema di autogoverno. Ma in un contesto politico con tratti di deriva vicini a Visegrad serve una battaglia culturale per difendere i tratti essenziali del Consiglio superiore della magistratura, la sua politicità e il suo pluralismo, dall’attacco che mira a creare due consigli che diventino una sorta di ufficio del personale della magistratura e a relativizzare l’obbligatorietà dell’azione penale che invece ci lega al principio costituzionale dell’uguaglianza: un progetto che punta a far sentire il magistrato più solo, più esposto alle intimidazioni, non più indipendente».

In un intervento molto applaudito, il giurista Gaetano Azzariti sì è rivolto «alla parte migliore della magistratura che deve interrogarsi sulla degenerazione» dovuta a «una concezione della giurisdizione troppo legata ai gruppi di potere» specie «nelle modalità di assegnazione degli incarichi» con un «Csm ormai organo amministrativo che ha perso la sua valenza di politica del diritto». Appellandosi alla storia di Md, Azzariti ha chiamato «a giocare all’attacco nella convinzione che l’indipendenza è una scelta di campo: stare dalla parte della costituzione specie nell’età della barbarie».

Il pm ed ex membro del Csm neo pensionato Armando Spataro ha lodato l’intervento del presidente Mattarella che ha chiesto «una presa di coscienza alla magistratura, un’autoriforma radicale e urgente» facendo un parallelo con «l’attacco del periodo Berlusconiano del 2008». Per reagire serve «difendere la natura delle correnti come posizioni condivise fra magistrati» e «fare della discrezionalità, che non è superabile, una pratica trasparente e motivata».
Il professore ed ex Csm Mauro Volpi ha ricordato come «Cosimo Ferri era già nelle scorse consigliature il trait d’union fra singoli membri interni e personaggi politici esterni» e ha criticato «il sistema elettorale uninominale per il Csm che favorisce cordate e fini personali», proponendo «il ritorno al proporzionale con voti di preferenza, il rinnovo parziale dei componenti e l’abolizione dei magistrati fuori ruolo spesso con incarichi nei ministeri».

L’ex membro del Csm, deputato e avvocato Guido Calvi ha ricordato come «la proposta di sorteggio per i membri del Csm, tornata in auge, sia stata fatta per primo nel 1971 da Almirante per indebolire il carattere politico» del Consiglio.
Nelle conclusioni il magistrato di Cassazione Domenico Gallo ha criticato «la manganellatura mediatica sui magistrati e il clima di intimidazione: la magistratura deve tornare allo spirito dell’orgoglio della sua funzione sorta dalla costituzione».

Nel documento finale si ricorda come «soltanto l’attuazione rigorosa del modello costituzionale può mantenere vive le garanzie della giurisdizione di cui c’è ancora più bisogno in un’epoca in cui è sempre più forte la tendenza dell’ordinamento politico a mettere in discussione le conquiste della Resistenza, i diritti fondamentali dei cittadini e la stessa unità della Repubblica».