Al Consiglio superiore della magistratura non competono giudizi di costituzionalità. Almeno sui decreti legge, già vagliati dal presidente della Repubblica nel momento in cui arrivano in parlamento per la conversione. È il caso del decreto di riforma del processo civile, oggetto del primo parere del nuovo Csm approvato, ieri, dal plenum. Una «bocciatura» secondo il presidente della sesta commissione che lo ha preparato, Piergiorgio Morosini (Magistratura democratica), un «contributo perché le riforme si facciano bene» secondo il vicepresidente Giovanni Legnini, l’ex sottosegretario del Pd che si è impegnato per limare la prima versione del parere, addolcendo la critica nei confronti del ministro Orlando. E che è riuscito alla fine a mettere assieme la quasi unanimità del Consiglio.

Le critiche in ogni caso restano. Laddove la commissione proponeva di giudicare le novità contenute nel decreto «non idonee ad assicurare un reale incremento dell’efficienza del sistema» si è scritto invece «non particolarmente idonee». Ma è stato aggiunto un «giudizio assolutamente positivo sulla scelta di fondo del legislatore di favorire il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie». Più controverso il passaggio in cui la commissione criticava la scelta di Orlando di intervenire per decreto. Il testo originale individuava «delicati profili di compatibilità costituzionale». La mediazione ha richiesto una pausa nella (lunga) discussione del plenum. E una riscrittura: alla fine è venuto fuori un «invito» a «ripensare la scelta di intervenire con provvedimenti parziali e necessariamente disorganici». Questo per «mettere i cambiamenti introdotti al sicuro rispetto a possibili censure di incostituzionalità»; vale a dire che altrimenti c’è il rischio che sia la Consulta a intervenire, perché un decreto (previsto per i casi di necessità e urgenza) non appare lo strumento migliore per una riforma. E comunque alla fine Legnini ci tiene a ribadire che «il Csm non si occupa di profili di incostituzionalità». Il vicepresidente è preoccupato di rispettare l’indicazione che Napolitano ha dato già quattro anni fa, quando spiegò che i pareri «non possono sfociare in un improprio vaglio di costituzionalità». Per quello c’è la Consulta. E c’è anche lui, il capo dello Stato, che nel caso dei decreti in materia di giustizia è addirittura già intervenuto con la controfirma quando il Csm se ne occupa. Per questo al pg della Cassazione Gianfranco Ciani la mediazione non è apparsa sufficiente: «Potrebbe apparire una velata critica al presidente della Repubblica e di questo Consiglio». E così si è astenuto, come ha fatto il laico eletto in quota Alfano, Antonio Leone. Tutti gli altri favorevoli per un precedente destinato a pesare: mai più rilievi di incostituzionalità da parte del Csm. Almeno per i decreti, per le leggi ordinarie – negli anni di Berlusconi al governo era abituale, e in qualche caso il Consiglio è stato poi confortato dalle sentenze della Consulta – si vedrà.