In base alle statistiche del Consiglio d’Europa, i magistrati italiani sono tra i più produttivi a livello continentale. Le cause degli enormi ritardi sono molteplici e riguardano in primo luogo la politica e l’insufficienza delle risorse destinate alla giustizia; la responsabilità non è dei magistrati che il presidente del Consiglio dipinge come «fannulloni». Ben vengano misure serie volte a rendere più efficiente e produttivo il funzionamento degli uffici giudiziari, ma a fronte dello stato negativo della giustizia risalta la gravità della ritardata elezione da parte del parlamento di due giudici costituzionali e otto membri «laici» del Csm. Si tratta di veri e propri doveri costituzionali che il parlamento non adempie. Così facendo azzoppa la Corte costituzionale, che per poter funzionare ha bisogno di almeno undici giudici, e soprattutto pregiudica l’equilibrio tra le componenti e il pluralismo politico-istituzionale che devono esistere al suo interno.

Purtroppo la situazione non è nuova. Nell’ultimo ventennio i partiti non hanno saputo raggiungere un accordo convenzionale sulla elezione dei componenti della Corte, come quello che esisteva in passato, e quindi hanno impiegato fino ad un anno e mezzo per eleggere i giudici di competenza parlamentare, fino a determinare nel 2002 il rinvio della discussione su una delle cause in ruolo per mancato raggiungimento del quorum. Nel caso del Csm lo stallo parlamentare è ancora più grave, perché impedisce la costituzione dell’organo che deve essere rinnovato nella sua interezza, e quindi l’adempimento di incombenze urgenti, come la nomina di dirigenti di importanti uffici giudiziari rimasti vacanti. Tra l’altro per il Csm nell’ultimo ventennio aveva funzionato la regola convenzionale che assegnava cinque dei componenti laici all’area della maggioranza e tre a quella della opposizione.

Questa vicenda dice molto sullo stato attuale della politica: lo stallo parlamentare deriva dal fatto che le forze politiche scaricano sulle istituzioni la loro incapacità di rispettare gli accordi, in particolare tra Pd e Fi, spesso stipulati in modo verticistico e occulto, e le loro divisioni, comprese quelle interne a ciascuna di esse. Della gravità della situazione si è reso conto il presidente della Repubblica che con una lettera inviata ai presidenti delle Camere ha da tempo sollecitato il parlamento a provvedere. Stupisce invece il silenzio del Governo che propaganda l’efficienza come punto qualificante della propria azione.

Per il Csm vi è un problema aggiuntivo. Il suo vicepresidente deve essere eletto dal plenum tra i componenti laici ed è chiamato nel funzionamento ordinario dell’organo a sostituirne il presidente, che è il Capo dello Stato, con il quale deve mantenere un rapporto costante di consultazione, e quindi svolge un ruolo importante di garanzia da un lato dell’indipendenza della magistratura, dall’altro di un corretto equilibrio con gli altri poteri dello stato. È quindi fondamentale che si tratti di una personalità molto autorevole per i particolari meriti acquisiti a livello scientifico (in qualità di professore universitario in materie giuridiche), professionale (come avvocato con almeno quindici anni di esercizio) o politico-istituzionale (avendo ricoperto cariche politiche e istituzionali di particolare rilievo). In effetti nei diciassette casi precedenti sono stati candidati, e poi eletti, alla carica personalità di grande levatura scientifico-culturale o che avevano alle spalle un’importante carriera politica e la titolarità di cariche significative (presidente o vicepresidente di una delle due camere, ministro o sottosegretario alla giustizia, presidente o vicepresidente di commissioni o giunte parlamentari che operano in materia di giustizia).

Non è un caso che il vicepresidente che aveva un curriculum meno significativo è stato Ugo Zilletti, che nel 1980 subentrò ad una grande personalità come Vittorio Bachelet assassinato dalle Br, ma dovette dimettersi nell’aprile 1981 per il suo coinvolgimento in una vicenda riguardante la loggia P2, e negli anni 90 fu arrestato e poi condannato per millantato credito.
Dovrebbe essere quindi preoccupazione centrale della politica proporre una personalità di grande levatura e che, anche in vesti diverse, abbia acquisito competenze e conoscenze adeguate in materia di giustizia. Al contrario il Pd sembra avere puntato su Giovanni Legnini, un politico proveniente non da una carica parlamentare, ma governativa, e, come egli stesso ha candidamente ammesso in qualche intervista, estraneo al dibattito sulla giustizia e ignaro del mondo della magistratura. È difficile sfuggire alla sensazione che si voglia un vicepresidente politicamente debole con il conseguente ridimensionamento del ruolo del Csm quale organo posto dalla Costituzione a tutela della indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Occorrerebbe esattamente il contrario. Infatti nessuna riforma della giustizia sarà efficace se non si porrà in grado l’organo di governo autonomo della magistratura di operare nel modo migliore, cominciando col garantire una composizione di alto profilo e adeguata al suo ruolo fondamentale. Inoltre c’è una questione di credibilità della politica che subisce un duro colpo quando essa si dimostra incapace di dare attuazione nei tempi previsti a doveri che incidono sulla vita di organi costituzionali o di rilievo costituzionale.