Ieri pomeriggio si è insediato, con una cerimonia al Quirinale, il nuovo Consiglio superiore della magistratura il cui primo impegno sarà l’elezione del vicepresidente. Il designato dal Pd e da Renzi, con l’assenso di Berlusconi, è Giovanni Legnini, fino a due settimane fa sottosegretario all’economia, materia della quale si è tradizionalmente occupato prima di essere scelto dal parlamento per l’organo di autogoverno della magistratura. Per questa sua provenienza direttamente governativa, non tutti i consiglieri «togati» del Csm sono ancora pronti a votare (martedì prossimo) Legnini come vicepresidente, in nome dell’autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario. Il voto dei magistrati è indispensabile dal momento che sono più del doppio dei politici, Legnini ha già offerto le sue rassicurazioni: molti vicepresidenti del passato erano stati in precedenza al governo, compreso il vicepresidente uscente Vietti. Nessuno però era arrivato al Csm direttamente dall’esecutivo. Il presidente della Repubblica Napolitano, che del Csm è presidente per Costituzione, ieri ha tenuto un discorso ai consiglieri uscenti ed entranti. Un discorso che si può leggere come una chiara indicazione di preferenza per Legnini. È del resto consuetudine che l’opinione del Capo dello stato sul suo vice al Csm pesi particolarmente.

Napolitano ha colto l’occasione per un excursus sulla figura del vicepresidente del Csm alla luce del dibattito in Assemblea costituente, ricordando come per evitare di «dare del Consiglio l’immagine di un organo autoreferenziale» fu bocciata la proposta di assegnare la carica di diritto al primo presidente della Cassazione. Lo proponeva, tra gli altri Dossetti, mentre il futuro presidente Scalfaro preferiva due vicepresidenti, entrambi dalla Cassazione, e il gruppo comunista pensava di affiancare al presidente della Cassazione il ministro della giustizia (mentre Calamandrei non avrebbe voluto alcun commissario eletto dal parlamento).
L’idea di collocare politici puri e addirittura governanti in posizione di vertice nel Csm, però, non seguiva l’intenzione di limitare l’autonomia della magistratura, ma paradossalmente a quella opposta, visto che al tempo della Costituente il governo dava molte più garanzie di rottura con il fascismo rispetto a una magistratura abbondantemente compromessa con il regime. E c’era un’altra esigenza, quella di avere un vicepresidente politico che potesse preservare il ruolo super partes e politicamente non responsabile del presidente-capo dello stato che, come disse proprio in occasione di quel dibattito Meuccio Ruini «ha una funzione di arbitro, di moderatore, di equilibratore». che nella guida del Csm rischiava di perdersi.

Nel parlare in favore di un vicepresidente con esperienza non solo politica, ma direttamente «politico-istituzionale», Napolitano ha citato un altro ex presidente della Repubblica, Leone, che in Costituente intervenne in favore di una composizione «mista» del Csm per «far sentire un soffio esterno all’ordine giudiziario». E ha ricordato come fu Emilio Lussu a trovare allora la soluzione, proponendo l’attuale formula del vicepresidente scelto e votato dal Csm tra i consiglieri laici eletti dal parlamento per «riallacciare – ha detto Napolitano citando Ruini – l’organo di autogoverno della magistratura alla fonte popolare, ovvero alla rappresentanza generale della volontà popolare».

È rimasto fuori dalla rievocazione di Napolitano che l’eroico azionista e antifascista Lussu, un attimo prima di riuscire a far approvare questo suo emendamento, aveva proposto alla Costituente che fosse direttamente il ministro della giustizia a vice-presiedere il Csm. Perché, disse, «se noi avessimo avuto occasione di riformare la magistratura, evidentemente avremmo minori preoccupazioni (…) siamo lontani dall’avere una magistratura nella quale possiamo porre completa fiducia». Queste erano le motivazioni di chi proponeva un travaso diretto dal governo al vertice del Csm. Almeno nel 1947.