È approdata ieri in pre-consiglio ed è prevista per l’approvazione nel Consiglio dei ministri in agenda domani la riforma del Csm. Con un po’ di ritardo rispetto agli auspici del ministro Bonafede, che l’aveva annunciata a maggio, e dopo il visto del legislativo di palazzo Chigi, prende così forma ufficiale la legge delega con cui il governo intende rispondere allo scandalo delle inchieste sul mercato delle nomine nel Consiglio superiore, il noto «caso Palamara». Sugli aspetti fondamentali della riforma i quattro partiti di governo hanno ormai un accordo, sui dettagli restano perplessità e distanze. Tanto che la maggioranza concorda anche sul fatto che il testo sarà certamente modificato in parlamento.

A cominciare dal meccanismo elettorale per la componente dei magistrati nel Consiglio (che salirà a 20 consiglieri sul nuovo totale di 33). All’ultima curva il ministro grillino è riuscito a infilare in qualche modo il sorteggio dal quale era partito come soluzione generale al male del correntismo, e che poi era stato costretto ad abbandonare per la contrarietà dei magistrati e degli alleati, oltre che dell’articolo 104 della Costituzione. La nuova formula di voto è fortemente maggioritaria, prevede la distribuzione dei circa novemila magistrati italiani in 19 collegi e l’elezione al primo turno del candidato o della candidata che superi il 65% dei voti. Altrimenti c’è un secondo turno in cui l’eletto o l’eletta sarà scelto nel ballottaggio tra i primi quattro. Le liste dovranno rispettare la parità tra i sessi – ma il sistema elettorale non garantisce un’equa rappresentanza di genere tra gli eletti – e, ultima novità, dovranno essere composte da almeno dieci candidati. Questo per evitare accordi pre elettorali tra correnti (in passato è successo di vedere un numero di magistrati candidati pari a quello degli eletti nel collegio). E se non dovessero farsi avanti almeno 10 candidati nel collegio? Ecco che Bonafede ha recuperato il sorteggio: non più per eleggere i consiglieri togati ma (almeno) per selezionare i magistrati candidati «d’ufficio». Che naturalmente non possono essere costretti a correre e dunque conserveranno la facoltà di rinunciare, rendendo necessari successivi sorteggi. Inutile dire che questa è la prima norma «di dettaglio» sulla quale si eserciteranno i parlamentari nel lavoro di correzione.

Per quanto riguarda la componente «laica» nel nuovo Consiglio, quella che deve essere eletta dal parlamento (dieci consiglieri) il Pd ha ottenuto di mitigare i furori antipolitici dei grillini, ottenendo di limitare l’ineleggibilità ai componenti del governo (in carica o ex da meno di due anni) e de delle giunte regionali, cancellando da ultima la previsione in base alla quale non poteva essere eletto il rappresentante legale di un partito.
Confermate tutte le altre riforme, tra le più rilevanti quelle contro le cosiddette «nomine a pacchetto» e il divieto per i consiglieri di far parte sia della commissione disciplinare del Csm che di quelle che si occupano delle nomine o delle valutazioni delle professionalità. Rafforzata la separazione tra le funzioni di pm e giudice, irrobustiti anche gli ostacoli tra gli incarichi al Csm e il ruolo ordinario così come tra le candidature a mandati elettivi e il ritorno nei ranghi della magistratura (ritorno definitivamente escluso per chi viene eletto in parlamento o nominato nel governo).

Per il Pd, scrivono in una nota il responsabile giustizia Verini e i parlamentari sul dossier Bazoli e Mirabelli, il passaggio della legge delega in Consiglio dei ministri è «una tappa fondamentale per contribuire al recupero di una piena credibilità della magistratura». Ma «sarà poi il parlamento ad arricchire e irrobustire il provvedimento, con un confronto aperto e ravvicinato».