«Continuerò a sollecitarne l’esame da parte dei competenti organi di governo». Sta in questa frase, quasi un inciso verso la fine della sua lunga relazione al parlamento sulla giustizia, la risposta che Marta Cartabia dà alla domanda più urgente: che fine ha fatto la riforma del Consiglio superiore della magistratura? Praticamente tutti, forze politiche, operatori della giustizia e soprattutto il presidente della Repubblica (lo ricorda la stessa ministra), e non una sola volta, la reclamano a gran voce. Non è più rinviabile, per una ragione semplice: il prossimo Csm rischia altrimenti di essere rieletto (a luglio) con le vecchie regole che hanno contribuito agli scandali.

Eppure quella riforma per la quale una proposta era già sul tavolo a luglio, si è fermata per fare spazio ai nuovi codici di procedura penale e civile. Poi, in autunno, ci sono voluti altri mesi per consentire al ministero di presentare una bozza di emendamenti (al vecchio testo Bonafede). Ma in commissione giustizia alla camera non sono mai arrivati. Fermati a palazzo Chigi. La ministra aveva annunciato che sarebbero stati vagliati da un Consiglio dei ministri di fine anno (tecnica già usata con successo per la riforma del processo penale) ma così non è stato. Di nuovo ne ha parlato con il presidente del Consiglio martedì, alla vigilia della relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario che ha letto ieri al senato e alla camera. È evidente che non è soddisfatta. «Gli emendamenti – sottolinea – sono all’attenzione del governo». E lei «continuerà a sollecitare».

Oltre questo Cartabia non va. Il disagio traspare ma non c’è una polemica diretto. «Sono solo fatti», dicono i suoi. Un’interpretazione benevola spiega la frenata con l’intenzione di palazzo Chigi di non esporre la ministra al fuoco delle forze politiche, divise sulla giustizia al punto che metà maggioranza sta per partire per una campagna referendaria avversata dall’altra metà. Perché Cartabia è in cima alla lista delle candidate e dei candidati a sostituire Draghi nel caso in cui il presidente del Consiglio, «nonno al servizio delle istituzioni», si trasferisca al Quirinale. Può essere vero anche il contrario, e cioè che sia stata proprio la necessità di Draghi di non stressare la sua maggioranza, dovendola invece compattare sul suo nome per il Quirinale, a consigliare di tenere la giustizia nel cassetto.

Anche perché non si può dire che Cartabia abbia sciolto tutti i nodi. Sulla legge elettorale per la componente togata della magistratura, sul rientro nei ruoli dei magistrati prestati alla politica e su tanto altro, 5 Stelle, Pd, Lega e Forza Italia sono ancora distanti. Infatti questi emendamenti così sudati in tanti incontri al ministero con i rappresentanti delle forze politiche alla fine, ha detto tempo fa la ministra, «non sono blindati» e dunque potranno essere a loro volta subemendati dalla maggioranza. Se ne parlerà dopo il Quirinale, «va rispettata la calendarizzazione in aula della riforma». Che però è a marzo. Così comincia a prendere consistenza l’ipotesi che, per poter votare con le nuove regole, l’elezione del prossimo Csm slitti a settembre (data nella quale comunque si insedierebbe la nuova consiliatura).

Nel frattempo, nell’intervallo imposto dal voto per il Colle, sia al senato che alla camera si è ascoltato un dibattito sulla giustizia insolitamente pacato. Cartabia ha ripercorso tutti i temi, insistendo su quelli che le sono a cuore: la giustizia riparativa, l’esecuzione penale. Si è impegnata a intervenire sul sovraffollamento dei penitenziari «condizione esasperante» e ha dedicato un pensiero al fatto che proprio ieri a Monza ci sia stato il sesto suicidio in carcere del 2022 (in appena 19 giorni dunque). Anche sul carcere, però, le «sensibilità molto differenti» della maggioranza non l’aiutano e il governo è in ritardo. Proprio ieri alla camera il governo ha mancato nuovamente di far arrivare i suoi pareri sulla riforma dell’ergastolo ostativo, chiesta dalla Corte costituzionale nove mesi fa e fermata dal tentativo 5 Stelle di sterilizzare i richiami dei giudici.

Con le prime parole della relazione, prese a prestito da una lettera che le ha scritto la madre di Roberto Moretti, giovane operaio della provincia di Napoli morto sul lavoro a Teramo nel maggio del 2017, per denunciare il blocco del processo di primo grado, la ministra ha richiamato il suo impegno per «riportare i tempi della giustizia entro limiti ragionevoli». I decreti legislativi che daranno concretezza alle riforme dei codici di rito civile e penale sono tutti da scrivere (entro il 2022 per il Pnrr). Ma intanto, oltre e prima delle riforme c’è «il mandato costituzionale del ministero» che è quello di occuparsi «dell’organizzazione, degli strumenti e degli uomini per far funzionare la giustizia». Cartabia ha promesso l’istituzione di un nuovo dipartimento al ministero per avere finalmente dati e statistiche aggiornati. «Oggi – ha confessato – non abbiamo neanche gli elementi per capire dove sono le maggiori insufficienze del sistema».