Con due mesi di ritardo, il parlamento in seduta comune è riuscito ieri pomeriggio a completare le nomine degli otto consiglieri «laici» del Consiglio superiore della magistratura. Che si insedierà domani con una cerimonia al Quirinale e potrà cominciare ad affrontare le delicate questioni che lo attendono, dalla nomina del procuratore capo di Palermo (che Napolitano aveva chiesto di rallentare a luglio per attendere il nuovo plenum) alla soluzione dello scontro tra il procuratore aggiunto di Milano Robledo e il capo Bruti Liberati, alla copertura degli organici liberati dal pensionamento anticipato dei magistrati per effetto della riforma della pubblica amministrazione; senza dimenticare gli attesi pareri sulla riforma della giustizia portata avanti dal ministro Orlando.

Gli ultimi due eletti dalle camere sono il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin e l’avvocata ex deputata dei Verdi Paola Balducci. Quest’ultima è stata indicata da Sel, che dunque ha conquistato la terza casella tradizionalmente riservata ai consiglieri del Csm eletti in quota opposizione (oltre a Zanettin era stata precedentemente eletta un’altra senatrice berlusconiana, Elisabetta Casellati). Sono rimasti fuori i grillini, che pure contano un gruppo parlamentare grande quattro volte quello di Sel (malgrado i vendoliani fossero nella maggioranza che ha beneficiato del premio previsto dal Porcellum) e che alle elezioni hanno raccolto il 25,5% dei voti, contro il 3,2% di Sel. E così i Cinque Stelle gridano allo scippo – «è stata calpestata la nostra rappresentanza politica» – tralasciando di aggiungere che è stata una loro scelta quella di non votare i candidati degli altri partiti. Gli alti quorum impongono invece ai parlamentari, costituzionalmente, di trovare un accordo per l’elezione dei consiglieri del Csm e dei giudici della Consulta; e così il Pd ha scelto Sel che ha accettato di convergere su una metà del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, votando per Luciano Violante ma non per Donato Bruno. Il pressing finale di Napolitano che nell’ultima nota ha piuttosto chiaramente indicato il M5S come il responsabile dello stallo ha fornito la copertura politica alla estromissione – e non per caso l’incontro risolutore tra Sel e il Pd si è chiuso con un pubblico apprezzamento del Capo dello stato.

Violante, però, non riesce ancora e in alcun modo a passare l’ostacolo. Ieri la votazione numero 14 per la Consulta si è chiusa con un’altra fumata nera, Pd e Forza Italia hanno votato scheda bianca e a questo punto sarebbe clamoroso un ritorno sugli stessi candidati, malgrado ufficialmente il Pd dichiari che insisterà con Violante. Ma c’è tutto il tempo per riflettere perché la prossima seduta comune è stata convocata martedì prossimo, nel pomeriggio. A penalizzare Violante, ben visto al Quirinale ma sgradito da una parte consistente sia dei parlamentari di Forza Italia che del Pd al riparo del voto segreto, è l’essere stato presentato in coppia con Bruno, candidato «bruciato» dalla notizia di un’indagine che lo coinvolgerebbe a Isernia. La sosta dovrebbe servire anche per avere notizie certe circa l’iscrizione del senatore previtiano al registro degli indagati (sta a lui chiederle), ma Forza Italia si sta già orientando a sostenere un altro candidato. I nomi che circolano sono quelli non particolarmente prestigiosi dell’avvocato Paniz (quello di Ruby nipote di Mubarak) e del giurista Guzzetta, ex capo di gabinetto del ministro Brunetta. Più coperta la candidatura del professore e componente uscente del Csm Nicolò Zanon. Per il Pd, qualora si riuscisse a convincere Violante al passo indietro, l’alternativa più accreditata è ancora quella del costituzionalista Augusto Barbera. Eppure ieri il gruppo dei Popolari per l’Italia, centristi ex montiani, ha in maniera imprevista proposto l’assai più autorevole candidatura dell’anziano professore Pietro Rescigno.

Per il Csm, invece, si apre adesso la partita dell’elezione del vice presidente, che va scelto tra i laici sulla base, tradizionalmente, del parere informale del Capo dello stato, presidente dell’organo per Costituzione. L’indicazione iniziale era quella dell’ex sottosegretario Giovanni Legnini, ma la sua provenienza diretta dal governo gli ha fatto perdere qualche posizione. In favore del centrista Balduzzi che al governo c’è stato con Monti, o, in casa Pd, dell’ex sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani che potrebbe incontrare più facilmente il consenso della componente «togata», decisiva.