Sergio Mattarella dà voce alle preoccupazioni che circolano nel triangolo Csm-parlamento-ministero della giustizia. Per l’iter parlamentare della riforma del Consiglio superiore della magistratura si sta facendo seriamente tardi. Travolto dallo scandalo Palamara, ma ancora in piedi per precisa volontà del presidente della Repubblica nonostante sei magistrati costretti alle dimissioni, il Csm vedrà il rinnovamento della sua componente togata nel luglio 2022. Mattarella tempo fa ha spiegato sarebbe stato inutile sciogliere l’organo in carica in assenza di una riforma che ne cambiasse organizzazione e soprattutto sistema di selezione. E ieri, visitando la scuola superiore della magistratura di Scandicci, il presidente della Repubblica ha lanciato l’allerta: «È indispensabile che la riforma venga al più presto realizzata, tenendo conto dell’appuntamento ineludibile del prossimo rinnovo del Consiglio».

Allo stato degli atti, il richiamo andrebbe rivolto alla ministra della giustizia, che ieri era accanto al capo dello Stato alla cerimonia di Scandicci. Perché è da lei che i partiti della maggioranza stanno aspettando le proposte che, così com’è stato per la riforma del processo penale e del processo civile, avranno la forma degli emendamenti al vecchio disegno di legge Bonafede (governo Conte due). La ministra, dicono da via Arenula, potrà concentrarsi sul Csm ora che, proprio oggi, con il voto finale sul processo civile, si conclude l’iter parlamentare delle riforme (che però sono in gran parte leggi delega) che il governo si era impegnato nel Pnrr a far approvare entro l’anno.

In realtà Cartabia ci sta lavorando da tempo, addirittura dalla primavera quando ha insediato una commissione presieduta dal costituzionalista Luciani che ha presentato le sue proposte a giugno. Un mese fa, dopo alcune difficoltà, si è tenuto un primo vertice di maggioranza in via Arenula che non ha sbloccato la situazione. I nodi sono tutti nel Capo IV del vecchio testo Bonafede, dove ci sono le norme di immediata applicazione che riguardano il numero dei consiglieri del nuovo Csm (dovrebbero crescere a 30), la nuova organizzazione delle commissioni e del disciplinare, l’eventuale designazione dei componenti per sorteggio e soprattutto il nuovo sistema di voto per la componente togata. Tutte le soluzioni sono ancora in campo, salvo il sorteggio integrale che un tempo era un cavallo di battaglia dei 5 Stelle e adesso piace alla destra e a una piccola minoranza delle toghe. La proposta della commissione Luciani di un sistema proporzionale con tre macro collegi e il voto singolo trasferibile non piace alla corrente oggi più forte delle toghe (la destra di Mi) e ha pochi sostenitori tra i partiti, dove prevale la preferenza per un sistema maggioritario uninominale.

«Non si può accettare il rischio di doverne indire le elezioni con vecchie regole e con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili», ha detto ieri Mattarella. Aggiungendo che la riforma deve «sradicare accordi e prassi elusive delle norme» ora che, dopo gli scandali, «occorre un ritrovato rigore» e «la magistratura è chiamata a rivitalizzare le proprie radici deontologiche, valorizzando l’imparzialità e l’irreprensibilità delle condotte individuali». Ma il calendario avanza e, a questo punto, tra legge di bilancio ed elezione del presidente della Repubblica, la camera (dov’è incardinato il disegno di legge) non riuscirebbe comunque a dedicarsi agli emendamenti del governo (che questa volta non dovrebbero passare per il consiglio dei ministri) prima di febbraio-marzo. Dal Csm hanno spiegato che oltre maggio con l’approvazione non si può andare, perché alla riforma segue la necessità di cambiare i regolamenti del Consiglio. Ancora una volta l’unica possibilità per rispettare i tempi sarà quella di imbrigliare il parlamento: monocameralismo e tanti voti di fiducia.