Il caso Morosini è chiuso ma le conseguenze si potranno valutare tra qualche mese. Il ministro della giustizia Orlando ha ricevuto ieri il vicepresidente del Csm Legnini; era stato proprio il Guardasigilli a volere un seguito «istituzionale» all’intervista con cui il consigliere del Csm aveva attaccato il governo e la riforma costituzionale. Intervista pubblicata dal Foglio e più volte smentita da Morosini, ancora ieri nel corso di una riunione del plenum del Csm: «Un’inaccettabile manipolazione delle mie parole», «una forte aggressione alla mia identità umana e professionale». Orlando ha preso atto della «ulteriormente dettagliata presa di distanza». Tutto risolto, se non che il ministro congedando Legnini ha insistito che «su alcuni punti ci siano passaggi che portino a un’assunzione di condotte che mettano le istituzioni al riparo da ogni polemica». Si apre dunque il capitolo delle conseguenze dal caso Morosini, su almeno tre fronti.
Il primo è lo spazio di intervento che il Csm si è negli anni ritagliato nei suoi pareri sulle leggi che hanno un impatto sulla giurisdizione. Molto largo, ormai: negli anni di Berlusconi a palazzo Chigi il Consiglio ingaggiò una battaglia a base di bocciature eccellenti di tutte le leggi sulla giustizia. Con Renzi il parere approvato dal plenum sulla nuova legge sulla responsabilità civile è stato critico, ma era ancora più critica la versione uscita dalla sesta commissione presieduta proprio da Morosini. Orlando vuole che «ci sia una vigilanza e una fortissima attenzione sul fatto che i pareri siano legati alle funzioni istituzionali». Niente polemiche politiche (riprese poi da Morosini nella famosa intervista), «i pareri saranno redatti nelle forme più appropriate e consone», assicura Legnini.

Il secondo fronte è quello delle nomine. Morosini nell’intervista smentita aveva criticato l’eventualità che il capo di gabinetto di Orlando, Gianni Melillo, potesse essere indicato dal Csm per la guida della procura di Milano. Nell’incontro con Legnini, Orlando ha spiegato che l’esperienza dei magistrati fuori ruolo non può essere considerata un handicap nel momento il cui il Consiglio deve fare le nomine. Nel primo passaggio in commissione sul successore di Edmondo Bruti Liberati a Milano, i consiglieri si sono divisi: tre voti per il procuratore aggiunto Greco e uno per Melillo.
Il terzo fronte riguarda la campagna elettorale per il referendum. Morosini ha smentito tutto, dunque anche le sue dure critiche alla riforma costituzionale voluta dal governo. Resta il fatto che la sua corrente – Magistratura democratica – fa parte del comitato del No. Legnini non può ovviamente negare «il diritto dei magistrati come di tutti i cittadini di esprimere la propria opinione», ma conferma la volontà di introdurre un limite per i consiglieri del Csm: «Se ci mettessimo tutti in campagna elettorale, quale sarebbe la credibilità del Csm?». Se ne parlerà in un prossimo plenum. Ma l’occasione per intervenire potrebbe anche essere l’autoriforma del regolamento del Consiglio, in dirittura d’arrivo.