Che Matteo Renzi avesse qualche debolezza populista è cosa nota almeno dall’epoca del referendum in cui chiedeva «il taglio delle poltrone». Che ne avesse anche sul tema della giustizia era lecito sperare di no, anche per fatto personale: per aver la sua famiglia subìto un processo con molte pagine opache e in pieno clima di giustizia mediatica. E invece il leader di Italia Viva, nell’urgenza di attaccare il Pd per dare un profilo alla sua nuova creatura, sul Foglio si lancia in un confuso doppio carpiato il cui senso finale è far capire che, pur di dare addosso ai suoi ex compagni, potrà cedere al populismo giudiziario senza complessi.

«La nuova maggioranza ha una forte componente giustizialista nei 5 Stelle», premette, «ma devo ammettere che parlando con molti deputati e senatori grillini mi rendo conto che le sensibilità personali sono spesso meno dure della linea ufficiale del partito. Molti di loro ammettono candidamente che il giustizialismo è un errore». Il problema invece sarebbe il suo vecchio partito, impegnato in un duro – anche se diplomatico – braccio di ferro con il ministro Bonafede per bonificare la riforma della giustizia: «Mi preoccupa paradossalmente di più la potenziale svolta giustizialista del Pd», dice Renzi.

Nel paradosso però finisce lui: «Io sul Csm sono più d’accordo con Bonafede che con Orlando», avverte. È cioè d’accordo con la nomina dei magistrati tramite sorteggio. Cosa che per il Pd invece «viola l’art.104 della Costituzione» come ricorda il deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti. Ma la Carta, anche questa è cosa nota, non è la prima preoccupazione di Renzi. Che chiude con una minaccia: «Non mi preoccupano i vertici di maggioranza tra Bonafede e Orlando senza di noi. Perché senza di noi possono fare i vertici ma non possono fare la maggioranza. Specie sui temi della giustizia».