Non fatevi ingannare dal titolo, col suo minimalismo un po’ lezioso a metà tra Grace Paley e Agatha Christie: Breve storia di sette omicidi (Frassinelli, pp. 687, euro 24.50, traduzione di Paola D’Accardi), il romanzo con cui Marlon James, nato a Kingston e professore a Boston, ha vinto il Booker Prize 2014 racconta una storia molto lunga , che conta ben più di 7 cadaveri. Comincia con un attentato fallito, quello del 3 dicembre 1976 contro Bob Marley, «il Cantante» nel libro. Finisce con l’esecuzione camuffata da incidente di Lester Lloyd Coke, detto «Jim Brown», Josey Wales nel romanzo, bruciato vivo nel 1992 in una cella, giusto la sera prima di essere estradato negli states. Era uno dei grandi signori mondiali della droga, minacciava di vuotare il sacco sui retroscena della storia giamaicana degli ultimi vent’anni.
Il romanzo di Marlon James ha folgorato in egual misura critici e lettori e in quasi tutte le recensioni che lo hanno applaudito viene definito «epico». È un termine adeguato ma riduttivo. A Brief History of Seven Killings è davvero un fluviale racconto epico, ma è anche un perfetto romanzo storico a chiave, con personaggi, eventi e luoghi ripresi dalle cronache in tutto tranne che nel nome. È un grande noir che, per capacità di raccontare la storia segreta e torbida di un Paese, sfida l’American Tabloid di Ellroy. È un esercizio di stile azzardato, a tratti vertiginoso, il cui lavoro sul linguaggio ha certamente dato molto filo da torcere, come lui stesso ammette nella nota finale, alla bravissima traduttrice.
Chi dovesse immaginare la Giamaica degli anni ’70 come un’isola avvolta nel fumo della ganja e non anche della polvere da sparo, popolata più da mistici rastafariani che da pistoleri assiepati in ogni ghetto, è lontano dalla verità. Alla vigilia delle elezioni del 1976 i due partiti in lizza, il socialdemocratico Pnp (People’s National Party) di Michael Manley, al governo da 4 anni, e il Jamaican Labour Party di destra, guidato da Edward Seaga, avevano già arruolato una quantità di rude boys del ghetto, sostituendo i loro rasoi con gli Ak47. Le posse del Jlp, con roccaforte nel ghetto di Tivoli Gardens, erano guidate da Claude Massop, «Papa-Lo» nel romanzo Bucky Marshall, qui «Shotta Sheriff», era uno dei principali capibastone rivali. Entrambi, soprattutto Massop, erano amici di Bob Marley che, nonostante la fede rasta e lo status di superstar, non aveva mai del tutto smesso i panni del «Tuff Gong», combattente di strada di Trench Town. La Cia soffiava sul fuoco e intrigava alla grande per abbattere un governo considerato rosso.
Incursioni pericolose
Alla vigilia di un concerto gratuito sponsorizzato dal Pnp, nel dicembre ’76, un commando attaccò la villa di Marley ferendo lui, il suo manager e la moglie Rita. Il concerto si tenne lo stesso, ma il giorno dopo la star del reggae si trasferì a Londra. La guerra proseguì, i morti diventarono centinaia. Massop e Marshall, che nel frattempo erano finiti per un po’ nella stessa cella, volarono a Londra per chiedere all’uomo che era allora il vero eroe nazionale giamaicano di patrocinare la pacificazione con un nuovo grande concerto.
Marley accettò, la tregua fu firmata, per qualche settimana i gangster delle due fazioni andarono a braccetto. Non poteva durare: la Cia e i duri delle bande ci misero poco a far ripartire la mattanza. Ma per moltissimi giamaicani quel «poco» fu un indimenticabile parentesi di luce e fuggevole speranza . Massop fu ammazzato dalla polizia poco dopo, Marshall fece la stessa fine in un locale di Brooklyn. «Jim Brown» prese il potere a Tivoli Gardens e la sua «Shower Posse» diventò una delle principali centrali di spaccio di crack nel mondo. Quando gli Usa riuscirono a ottenerne l’estradizione, la minaccia di vuotare il sacco gli fu fatale. Lo sostituì il figlio adottivo, «Dudus», il cui regno miliardario, protetto dal governo del Jlp, è durato fino al 2010, quando gli Usa ne hanno ottenuto l’estradizione minacciando di sospendere gi aiuti economici in caso di ennesimo rifiuto. L’incursione a Tivoli Gardens per arrestarlo è costata 75 vittime.
Marlon James inventa il meno possibile. Il romanzo è fedele ai fatti sin nei particolari, e il debito contratto con Born Fi’ Dead, magistrale e insuperato réportage di Laurie Gunst sulle posse giamaicane, è immenso. Ufficialmente gli autori dell’attentato contro Marley sono rimasti ignoti, ma da anni circola una ricostruzione semi-ufficiale del fattaccio che probabilmente si avvicina molto alla verità e che è qui riproposta dallo scrittore di Kingston. Non a caso il proverbio giamaicano citato in apertura recita: «Se non è andata così, ci è andata vicino». Ma quella di James non è e non vuole essere una foto degli eventi reali. James somiglia solo in superficie ai grandi autori del noir moderno che hanno fatto della realtà oggetto dei loro romanzi. I fatti sono visti attraverso gli occhi dei vari protagonisti, che parlano tutti, tranne Marley, in prima persona, e quel che davvero interessa allo scrittore sono le loro reazioni a fronte di quelle vicende, gli influssi che la storia esercita sulle loro anime e sulle loro vite, le dinamiche che ne influenzano le scelte.
Speranze di riscatto
Nello stile, lo scarto con il noir è anche più drastico. James Ellroy e Don Winslow navigano nel solco dell’hard-boiled. Portano alle estreme conseguenze, sino a stravolgerla, la lezione di Hammett. James si ispira ad altri modelli: il Faulkner di Mentre morivo, a tratti persino Joyce. Moltiplica il punto di vista, adopera a man bassa lo stream of consciousness, lavora di fino sul linguaggio differenziandolo per ciascun personaggio, con uso massiccio, pur se contenuto per non rischiare l’illeggibilità, del patois. Bob Marley giganteggia ed è quasi onnipresente anche se il romanzo si conclude oltre 10 anni dopo la sua scomparsa. Non perché sia il vero protagonista del romanzo, ma perché nelle esistenze e nel percorso interiore di tutti i personaggi principali Marley, incarnazione di una speranza di riscatto da molti sognata e da qualcuno temuta, gioca un ruolo fondamentale.
Linguaggio, introspezione psicologica, storia sociale, squarci sulle trame segrete, musica: James usa e fonde tutto per raccontare la vicenda corale di un’isola la cui importanza, per la cultura popolare degli ultimi decenni, è inversamente proporzionale alle dimensioni e soprattutto del suo tormentato popolo. Il risultato è un romanzo bellissimo e complesso, non solo da leggere ma da rileggere, colmo di una rabbia fredda per quello che sarebbe potuto succedere e contro chi non ha permesso che succedesse.