Una tragedia che si poteva evitare. Il giorno dopo, a freddo, elaborato il dramma, fatta la conta di morti, feriti e dispersi, emerge il lato oscuro della vicenda. L’esplosione funesta del veliero zeppo di migranti al largo delle coste crotonesi, davanti la spiaggia di Praialonga, non ci sarebbe stata se il natante fosse stato trattenuto a Sellia Marina, luogo del primo avvistamento. Per meglio comprendere la dinamica occorre, però, riavvolgere il nastro all’alba di domenica.

Alle prime luci del mattino in località Ruggero, a Sellia Marina, a una ventina di chilometri da Catanzaro, vengono intercettate 36 persone. Sono tutti migranti. Di questi, 13 sono a bordo di un gommone e 23 su una barca a vela. Sul posto i vigili del fuoco del comando di Catanzaro distaccamento di Sellia, carabinieri, polizia, 118, guardia di finanza e guardia costiera. Vengono avviate le procedure anticovid. Mentre però il gommone viene fatto sbarcare nel porticciolo di Sellia, la barca a vela con il resto dei migranti a bordo, si dirige inspiegabilmente verso Crotone. E’ scortata da un’unità navale della Finanza. È nel corso della navigazione che l’imbarcazione, per cause in corso di accertamento, prende improvvisamente fuoco.

A bordo del barcone, insieme ai migranti, ci sono due finanzieri con il compito di governare l’imbarcazione. Sono proprio loro a permettere alla maggior parte dei migranti di salvarsi facendoli trasbordare sulle motovedette, arrivate nel frattempo. E anche loro sono investiti dall’esplosione insieme ad altri migranti poi finiti in acqua.

Dal mare vengono recuperati cinque migranti, feriti e trasferiti con le motovedette della Capitaneria nel porto di Le Castella. Il bilancio è 3 morti, 6 feriti e diversi dispersi, il cui numero esatto è in corso di accertamento. Il relitto dell’imbarcazione è affondato. Sarà ispezionato dai sub della guardia costiera in cerca di eventuali altre persone rimaste imprigionate.

Su quanto è accaduto la Procura di Crotone ha aperto un’inchiesta. Dovrà chiarire la dinamica del trasbordo e dell’incendio letale. I dubbi e le perplessità restano tutte. Ne sono convinti gli attivisti della rete antirazzista di Crotone che chiedono chiarezza. «Tutti i soccorsi necessari sono giunti sul posto con celerità – afferma Filippo Sestito dell’Arci nazionale – tuttavia, ci chiediamo come sia stato possibile che in un’imbarcazione che ospitava molte persone e che era sotto la custodia dello Stato sia scoppiato un incendio così drammatico. Perché una volta avvistati i migranti non sono stati fatti scendere a terra? Perché non sono stati trasportati nel più vicino ospedale per valutare il loro stato di salute, in modo da mettere in sicurezza non solo i naufraghi ma anche i soccorritori che, come si è visto, rischiano tutti i giorni la vita nell’esercizio delle loro funzioni? Noi ce lo chiediamo e vorremmo una risposta dalle autorità competenti. Perché quella di ieri è una tragedia che poteva e doveva essere evitata».

Nell’ultima domenica di agosto Crotone, nel sostanziale e annoso disinteresse della politica locale oggi impegnata nella competizione elettorale per il rinnovo del consiglio comunale, piange così la perdita di tre vite umane, colpevoli solo di aver affrontato mille pericoli nella speranza di trovare una vita migliore. «L’odio nei confronti dei migranti e dell’altro da sé non è il solo carburante di chi costruisce il proprio consenso alimentando le paure, spesso l’indifferenza di chi dovrebbe opporvisi è l’alleato più potente e più subdolo» conclude Sestito. Nel mentre, altri 80 profughi sono giunti ieri in porto. Di nazionalità curda, irachena, afghana ed iraniana, probabilmente partiti dalla Turchia, sono stati intercettati al largo di Capo Cimiti.