In una famosa scena di Bel Ami i redattori del giornale passano in rassegna le storie del giorno. Le maneggiano come si fa con gli ortaggi ai mercati generali, scartando quelle buone da quelle avariate, le commestibili dalle indigeste. Che si tratti del giornalismo come strumento di ascesa sociale nella Parigi della fine del diciannovesimo secolo del racconto di Guy de Maupassant o della discesa agli inferi del precariato editoriale di questi anni, il mestiere è quello: si tratta di selezionare notizie e trovare il modo di raccontarle.

Seguendo la vecchia regola che vuole che dai bassifondi si guardi meglio l’insieme e utilizzando la letteratura popolare come specchio della società contemporanea, Selene Pascarella in Tabloid Inferno (Alegre, collana Quinto Tipo, pp. 256, euro 15) ci catapulta in un sottobosco di giornalisti che non scalano un bel niente: prendono l’ascensore sociale per raggiungere i sotterranei e lavorare in testate mordi e fuggi che si occupano di cronaca nera e gialli grotteschi.

Che si tratti di vicende assurte all’empireo del giornalismo mainstream e di personaggi quali Chiara e Alberto, Yara e Bossetti, Erika e Omar, Olindo e Rosa, Amanda e Meredith o della morbosa storia di provincia da cucinare con le giuste metafore, il viaggio nell’inferno del giornalismo di Pascarella affonda nel paese reale e nelle sue ossessioni. È un mondo fatto di precariato e serialità narrativa: costruire storie che durino un tempo indeterminato a opera di lavoratori a tempo limitato. Ogni storia anche la più lineare non deve finire mai. «La cronaca nera italiana è una lunghissima fiction a puntate e rivisita a ciclo continuo poche strutture narrative primarie», annota Pascarella. Così, «Sarah Scazzi è diventata l’angelo biondo d’Italia solo quando è evoluta da protagonista di una fuga adolescenziale a potenziale vittima del mostro».

Il libro mette a verifica alcune delle illusioni dell’epoca postmoderna. Racconta il fallimento del tentativo di utilizzare i codici dominanti, in questo caso quelli del giornalismo più tossico, per ottenere l’effetto contrario e alzare l’asticella dello spirito critico. «Le regole di genere che ho così tanto faticato a introiettare e riassemblare sono le stesse seguite dai criminologi nei salotti di prima serata e dagli editorialisti di punta», scrive l’autrice, spiegando che se il confine tra alto e basso è saltato da un po’, anche quello tra giornali rispettabili e pubblicazioni pulp è soltanto una convenzione. Spesso e volentieri sono le pubblicazioni del giallo pecoreccio a dettare la linea, a costruire un ecosistema dentro al quale avviene la selezione naturale dei casi destinati a popolare teleschermi al pomeriggio e animare le teorie dei criminologi da talk show. Tabloid inferno racconta un mondo che ha come stella cometa Cronaca Vera. Il giornale più letto negli istituti penitenziari italiani con abilità sopraffina maneggia un doppio codice: titilla i bassi istinti dei lettori meno attrezzati e strizza l’occhio a quelli che lo leggono come divertissement postmoderno.

Tabloid Inferno è il primo «oggetto narrativo identificato» della collana di Wu Ming 1 scritto da una donna. Il che fa la differenza: qui l’ibridazione tra generi conosce un salto. La prima persona singolare si trasforma pagina dopo pagina, comincia scanzonata e irriverente e poi si fa critica radicale. Diventa spietata messa in discussione delle nostre storie e del modo in cui raccontiamo quelle degli altri. È la storia di una discesa agli inferi per prendere parte, per ritrovare la propria parte.