Su che binario sta procedendo il mondo? Quale sarà lo scenario tra venti o trent’anni? Nel nostro presente europeo e occidentale non si fa che parlare di crisi e di crollo dell’economia. E tutto si ferma qui.

Charles A. Kupchan, professore alla Georgetown University ed editorialista del New York Times, cerca una risposta a questo quesito nel suo libro Nessuno controlla il mondo (Il Saggiatore, pp. 285, euro 19,50). Quando in televisione si parla di crisi, il riferimento è ai paesi occidentali, come Europa e America del nord; tutto il resto del mondo viene tagliato fuori senza troppe cerimonie. Kupchan ripercorre, attraverso un rapido excursus storico, come si è arrivati all’affermazione della «mentalità occidentalista» che quando parla di « mondo» fa riferimento solo a una piccola parte di esso.

Ci sono particolari fattori che hanno permesso a questo modello di predominare per un lungo periodo di tempo. Prima l’Europa e poi l’America si sono imposte, spesso con la violenza, sulla scena internazionale in nome della supremazia modello sociale e economico occidentale. Per l’autore, invece, i motivi che hanno portato a questa situazione sono del tutto contingenti e vanno cercati nelle crepe del potere e nella vitalità politica delle classi medie: fattore, quest’ultimo, non presente in altre realtà, come Cina e India.

Il presente vede invece l’Occidente in crisi e altri paesi in forte crescita economica, dopo anni di presenza secondaria sul panorama internazionale. C’è chi ha affermato che tutto questo accade per un’adozione del modello occidentale da parte dei paesi asiatici, in un’estrema difesa della validità del nostro pensiero. Kupchan dimostra, dati alla mano, che invece non è così e che le condizioni che hanno portato alla situazione presente nei Brics sono elementi in gran parte estranei alla nostra cultura di occidentali. Nel frattempo, l’ Europa vede il ritorno del nazionalismo, mentre gli Stati Uniti si perdono nei propri conflitti interni: crepe visibili del blocco occidentale, che se non vegnono affrontate e «risolte» porteranno, secondo Kupchan, a un irreversibile tramonto economico e politico dell’Europa e degli Stati Uniti.

Il pregio maggiore del volume sta nel presentare, in maniera concisa e chiara, le tappe storico-sociali che hanno condotto il mondo alla condizione attuale. L’analisi che lo sorregge è la sintesi di importanti studi storici sui nazionalismi, come quelli di Benedict Anderson e di Adda Bozeman, che ripercorrono il processo di formazione e di predominio euro-americano.

La parte più azzardata del saggio è invece quella sulle «previsioni» per il futuro, non tanto per quanto riguarda il fronte dei paesi emergenti, quanto proprio per l’eccessiva mancanza di fiducia in istituzioni che, per quanto possano suscitare il malcontento nazionale, hanno ancora una presa forte e sono ben lontane dallo scomparire, come l’Ue e il modello bipartisan americano. A parte queste supposizioni un po’ azzardate di Kupchan, la sua proposta di governabilità del mondo sulla base di nuovi presupposti è interessante. Le parole chiave sono «unità», «apertura», «collaborazione» e «solvibilità». Il recupero della solvibilità economica è il punto fondamentale, a livello pratico, per una ripresa dell’Occidente. Per l’autore, bisogna creare nuovi equilibri tra i mezzi e gli scopi, mettendo fine alla tendenza a spendere più di quanto si produce, fenomeno che crea deficit commerciali e spesso bolle speculative. In secondo luogo, bisognerebbe coltivare i concetti di flessibilità e apertura: la pretesa occidentale di applicare e imporre a tutti i costi il proprio modello a paesi dalla diversa cultura non solo è una forzatura, ma dimostra la cieca fede nei confronti di un modo di pensare che ha prodotto questa crisi. Gli occidentali devono, quindi, essere aperti ad altre strade, senza fossilizzarsi sulla propria e senza chiudere gli occhi a soluzioni alternative.