La Cina rantolante di fine Impero spaventata dal suo immediato futuro e il Giappone inebriato di certezze, pronto a scuotere l’Asia e il mondo intero, ovvero due recenti libri editi entrambi da O barra O: Il Figlio del Cielo. Cronaca dei giorni sovrani di Victor Segalen (a cura di Alessandro Giarda, prefazione di Alessandra C. Lavagnino, postfazione di Henry Bouillier, pp. 214, euro 16) e In Giappone. Cronaca di un cambiamento di Albert Londres (traduzione di Alessandro Giarda, prefazione di Corrado Molteni, pp. 112, euro 12,50).
Due libri distinti, diversi e distanti ma che letti in fila – partendo dalla Cina e proseguendo con il Giappone – oltre a coprire un arco di tempo consecutivo, da fine ’800 al 1922, permettono di muoversi in equilibrio su un filo sottile nella storia del continente asiatico, scoprendone similitudini, contiguità e un destino che, contro ogni volontà, diventa «comune».
La Cina imperiale muore, il Giappone imperiale si inebria di forza e grandeur. La stessa prepotenza che diventerà – qualche anno più tardi – la salvezza per la Cina: l’attacco giapponese porterà alla Lunga marcia e all’unione tra comunista e Kuomintang, dalla quale nascerà la Cina contemporanea, sulle ceneri di un Giappone sconfitto, umiliato, proprio come il Regno di Mezzo di fine Diciannovesimo secolo. Da un lato abbiamo un calco di testi classici, affascinato dalle arterie segrete del potere cinese; dall’altro uno stile roboante, futuristico e romantico allo stesso tempo, per descrivere l’ascesa di una Potenza.

INSISTONO due paesi in procinto di cambiare per sempre, tra mille sofferenze, sotterfugi, astuzie, errori e tragedie. Ma intanto ci sono loro, i due autori. Il primo, Victor Segalen, praticamente sconosciuto dalle nostre parti, fu un vero e proprio artista, benché solitamente sia catalogato alla voce «archeologo». Il secondo, Albert Londres, fu grande giornalista d’inchiesta, cui ancora oggi è intitolato un premio prestigioso, e capace di ispirare il celebre personaggio del fumetto belga Tintin di Hergé. Di Segalen ha scritto Pierre Ryckmans aka Simon Leys, immenso sinologo e anch’egli poco sconosciuto dal pubblico italiano, protagonista di una critica feroce in presa diretta del maoismo nel suo momento più controverso, la Rivoluzione culturale.
Segalen nacque nel 1878 a Brest e morì nel 1919 (in circostanze ancora oggi misteriose, a Huelgot, dove pare sia stato trovato con una copia dell’Amleto in mano). «Non vi dovete vergognare della vostra ignoranza se non avete mai sentito il suo nome», scrive Leys nel 1996 su China Heritage Quarterly. Sebbene sia diventato oggetto di numerosi studi biografici e critici, «fino a qualche anno fa era ancora in gran parte sconosciuto anche nel suo paese natale. La relativa oscurità che lo aveva circondato da tempo era dovuta in parte al fatto che morì alla tenera età di quarantuno anni, avendo pubblicato pochissimo».

NONOSTANTE QUESTO, scrive Leys, chi intraprenderà la sua lettura sarà gratificato. «Segalen era fragile e intenso, pieno di energia nervosa e forza di volontà; era un sognatore e un uomo d’azione; un esteta e un avventuriero. Nella sua breve vita, è riuscito a combinare più carriere: a turno (o simultaneamente), era un ufficiale della marina, un poeta, un antropologo, un viaggiatore, un sinologo, un medico, un archeologo». Leys deve proprio a Segalen il suo nom de plume, dal titolo del libro di Segalen René Leys (O Barra O, 2017), prodromo de Il figlio del cielo. Nato in una famiglia piccolo-borghese di provincia, Segalen divenne medico della Marina, e il suo primo incarico lo portò nella Polinesia francese. Poi arrivò in Cina e se ne innamorò di un amore folle, smisurato, desideroso di attenzioni e capacità a «farsi cinese». Ne Il figlio del cielo, pubblicato postumo nel 1975 e mai tradotto prima d’ora in Italia, un annalista particolare è incaricato dall’Imperatrice-Vedova Cixi di registrare gli atti, le parole e gli scritti «caduti dal pennello» del penultimo sovrano della dinastia Qing, l’Imperatore Guangxu.

L’ANNALISTA tiene conto di tutto quanto accade e finisce per tratteggiare la figura «di un giovane malinconico, tormentato dalla sua carica di Figlio del Cielo, ovvero di mediatore tra Cielo e Terra, e schiacciato dall’eredità degli antenati e dalle immutabili tradizioni di un impero millenario». Ma c’è di più, perché l’arguzia e la straordinaria e sottile ironia dell’Annalista annunciano tempi cupi, rivolgimenti e sotterfugi di corte, presagendo la velocità con cui la «malattia» colpirà la Cina portandola all’acme del suo «secolo delle umiliazioni».
C’è la guerra sino-giapponese, la Riforma dei Cento giorni, il colpo di Stato di Cixi, la rivolta dei Boxer e la sua repressione da parte dei «barbari stranieri». E c’è un paese dilaniato alla ricerca di una sua identità, completamente trasfigurata dalla decadenza e dall’arte predatoria tanto degli occidentali e quanto del vicino Giappone. Tutto però ruota intorno al protagonista del libro: come spiega nella sua postfazione Henry Bouillier «fin dall’inizio Segalen ha voluto farne il perno del suo libro. La sua esitazione sul titolo la dice lunga. In successione, sia come titolo sia come tema aveva considerato L’uomo che incarna i morti, Il ricominciamento rituale, L’uomo che incarna».

Tutt’altro il clima che regna nel Giappone del 1922 che Albert Londres ebbe la fortuna di visitare come inviato per il magazine illustrato francese Excelsior. Come per Segalen, siamo di fronte a uno scrittore del tutto particolare. Londres è considerato infatti il «creatore» del giornalismo di inchiesta come siamo abituati a concepirlo oggi. Iniziò la sua carriera nel 1906 nel quotidiano Matin. Con lo scoppio della Grande Guerra nel 1915 segue come corrispondente di Le petit journal i fronti del sud-est Europa (Serbia, Grecia, Turchia e Albania). Nel 1920 è tra i primi cronisti a entrare nella Russa bolscevica. Nel 1922 parte per l’Oriente scrivendo del Giappone, della Cina e dell’India. E proprio dal Sol Levante Londres sarà in grado di regalare dei ritratti attuali, senza mai cadere in banali luoghi comuni (specie considerando che si era nel 1922). Da un lato, come sottolinea Corrado Molteni nell’introduzione, ci troviamo di fronte a uno stile «immaginifico, ironico e a tratti caustico e irriverente»; il suo viaggio «oscilla tra la comprensione e l’incredulità, sempre sospeso tra la realtà che si presenta ai suoi occhi, ciò che alcuni giapponesi vorrebbero fargli credere e l’immagine, spesso distorta, che gli europei avevano del Giappone».

DALL’ALTRO c’è tutta la tensione di quel momento con un Giappone che da chiuso e isolato era ormai «intento a conquistarsi uno spazio vitale in Asia a scapito della Cina e in competizioni con le grandi potenze di allora», in primis gli Stati uniti. A questo riguardo Londres osservava che «se un tempo tra Giappone e l’America c’era un crepaccio, oggi c’è un precipizio».
E Londres, tra contraddizioni e istinti di potenza, si muove a proprio agio, grazie alla capacità di semplificare – quasi umanizzandoli – i dilemmi geopolitici dell’epoca per un pubblico semplicemente incuriosito dall’alterità «orientale». In Giappone è ancora oggi un libro che svela qualcosa di sconosciuto di quel paese e capace di fermare il tempo, prima che tutto precipiti. Basti per questo l’incipit del volume: «Il Giappone si abbatterrà sull’America. I campi di battaglia della vecchia Europa palpitavano ancora per il grande scontro barbaro quando uomini dall’indefessa lungimiranza si passavano questa voce ispirata. Non era una notizia di prima mano, ma la diffusione di un oracolo antico. Da tempo, infatti, gli dei delle scienze politiche e morali (…) avevano risposto in termini ambigui, come si conviene: Sì un tifone guerra si alzerà presto su una costa estrema».