Il Censis, nel suo dossier Futuro dei territori, ha descritto un paese spaccato, dove si sta consumando «una secessione di fatto. Da tempo è stato interrotto ogni processo di convergenza tra il Mezzogiorno e il resto d’Italia». Ieri la Cgia di Mestre ha offerto un nuovo tassello al racconto. Secondo il centro studi veneto, in Campania il rischio per le piccole e medie imprese di cadere vittime dell’usura è del 50% superiore rispetto alla media nazionale, mentre in Trentino è circa la metà. Un fenomeno provocato anzitutto dalla stretta creditizia attuata dalle banche: «Con la forte contrazione dei prestiti avvenuta in questi ultimi anni, soprattutto nei confronti delle imprese di piccola dimensione – spiega il coordinatore dell’ufficio studi, Paolo Zabeo – esiste il pericolo che il fenomeno dell’usura, soprattutto al Sud, assuma dimensioni preoccupanti. Un crimine invisibile che rischia di minare la tenuta finanziaria di moltissime attività commerciali e artigianali».
Tra il 2011 e il 2015 l’ammontare degli impieghi bancari alle imprese è diminuito di 104,6 miliardi (l’ultimo anno meno 17,638). Il numero di estorsioni e di delitti legati all’usura denunciato all’autorità giudiziaria è aumentato in misura esponenziale. Quattro anni fa le denunce di usura sono state 352, nel 2013 (ultimo dato disponibile) sono salite a 460 (più 30,7%). Le estorsioni sono passate da 6.099 a 6.884 (più 12,9%). L’ultimo indice del rischio di usura, calcolato dalla Cgia, mostra come il fenomeno abbia assunto dimensioni preoccupanti nel Mezzogiorno, cioè nelle aree dove c’è più disoccupazione, alti tassi di interesse, maggiori sofferenze bancarie, pochi sportelli e tanti protesti.
La banche più importanti sono concentrate al Nord e gli indicatori economici danno un quadro preoccupante del Sud. Secondo il Censis, la Campania è sul penultimo gradino dell’Europa a 28 paesi se si guarda al tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni: «Puglia, Calabria, Campania e Sicilia si collocano agli ultimi posti della graduatoria Ue, ben sotto i dipartimenti spagnoli di Ceuta e Melilla, la francese Réunion e addirittura di tutte le regioni della Grecia e del Portogallo». Il Pil annuo più alto in Italia si registra nella provincia autonoma di Bolzano (40mila), il più basso in Calabria (15.200 euro), la Campania è quartultima con 16.800 euro.
Così nel 2014 Campania, Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata sono state le regioni più esposte all’usura. Rispetto a un indicatore nazionale medio pari a 100, la situazione più critica è in Campania: l’indice del rischio usura è 155,1 (unica regione con indice «molto alto»). Poi c’è la Calabria con 146,6; la Sicilia con 145,3; la Puglia con 136,3 e la Basilicata a quota 133,2. Le condizioni migliori si trovano in Trentino Alto Adige, con un indice del rischio usura di 47,6 (52,4 punti in meno della media nazionale). Seguono Friuli Venezia Giulia (72,8 punti) e Veneto (73,2). Al Sud, osserva Zabeo, «con la forte stretta creditizia, il conseguente aumento dei ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali tra le imprese e il perdurare di elevati livelli di disoccupazione, l’usura, già presente in misura maggiore che altrove, ha assunto dimensioni ancor più preoccupanti».
L’indice del rischio di usura è stato calcolato mettendo a confronto otto indicatori: le denunce, la disoccupazione, le procedure concorsuali, i protesti, i tassi di interesse applicati, il numero di sportelli bancari, il rapporto tra sofferenze e impieghi registrati dalle banche. «Con le sole denunce effettuate alla polizia – conclude Zabeo – non è possibile dimensionare il fenomeno: le segnalazioni, purtroppo, sono relativamente poche. Chi cade nella rete degli strozzini è vittima di minacce personali e ai propri familiari. Ciò che pochi sanno sono le motivazioni per le quali molti artigiani o i piccoli commercianti diventano prede degli usurai. Oltre al perdurare della crisi, sono soprattutto le scadenze fiscali e le piccole spese impreviste a spingere molti imprenditori nella morsa degli strozzini».