Crolla il pilastro della «trattativa»
Stato-mafia Alla luce dell'assoluzione di Calogero Mannino il processo che prosegue contro gli altri imputati rischia di non essere più tanto «principale», perché verrebbe a mancare il tassello fondamentale della ricostruzione accusatoria
Stato-mafia Alla luce dell'assoluzione di Calogero Mannino il processo che prosegue contro gli altri imputati rischia di non essere più tanto «principale», perché verrebbe a mancare il tassello fondamentale della ricostruzione accusatoria
Calogero Mannino, giudicato con il rito abbreviato nell’ambito del processo per la trattativa Stato – mafia, è stato assolto dal Gup di Palermo «per non aver commesso il fatto». Dalle motivazioni si capirà un po’ di più, ma la formula assolutoria lo esclude dal grande «complotto» per il quale il processo principale prosegue in corte d’assise con il rito ordinario.
La sentenza, ovviamente, sarà impugnata dalla procura e solo la cassazione potrà mettere la parola fine sulla fondatezza o meno dell’accusa all’ex ministro.
La sentenza, anche se passasse in giudicato, riguarderebbe solo questo imputato e i giudici della corte d’assise sarebbero liberi di determinarsi autonomamente e in senso contrario a quanto deciso dal Gup proprio perché Mannino non ha commesso il fatto ma gli altri imputati, tutti o qualcuno, potrebbero averlo commesso.
Alla luce di questa assoluzione però il processo che prosegue contro gli altri rischia di non essere più tanto «principale» perché verrebbe a mancare il tassello fondamentale della ricostruzione accusatoria.
Secondo i pm infatti era stato Mannino, nel timore di essere la seconda vittima dopo Salvo Lima, a muovere i carabinieri del generale Mori sulla pista di un intesa con Cosa nostra, con tutti gli avvenimenti che sono seguiti e che ormai sono arcinoti, ma sulla cui interpretazione ci sono profonde divergenze.
In buona sostanza la corte d’assise, come in un giallo, dovrebbe rileggere la trama prospettata dalla procura, darle un diverso inizio che però non sconvolga la fine del racconto: facile a dirsi ma difficile a farsi.
A questo punto credo che ritornino in ballo le osservazioni del giurista Fiandaca e dello storico Lupo, secondo i quali il processo non reggeva né sul piano giuridico, né su quello storico. Rilievi che a suo tempo scatenarono le ire dell’antimafia ufficiale (il presidente Crocetta in testa) ma sui quali ora si dovrebbe riflettere di nuovo senza muovere ai critici del processo accuse di collateralismo alla mafia, specie nell’attuale fase tragica in cui non si capisce più dove stia la mafia e dove stia l’antimafia.
La mafia conta ancora in Sicilia, ma i suoi capi (tranne Matteo Messina Denaro) e adepti sono tutti all’ergastolo o scontano pesanti condanne: dire che alla fine della trattativa si sia rafforzata è una sciocchezza.
Gli inquietanti scenari di Mafia capitale o della sezione misure di prevenzione di Palermo sembrano abbastanza concreti, mentre quelli del processo per la trattativa sembrano sempre più evanescenti, anche perché ora lo dice anche il Gup che ha assolto Mannino.
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